Pisa, ottobre 1980
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
E’ per me un grande onore ed un grande piacere essere presente qui oggi, e vorrei cogliere questa occasione per spiegare in breve i motivi che mi hanno indotto allo studio della storia economica italiana, e come essi si sono evoluti e continuano ad evolversi. Voglio innanzitutto dire che le fonti del mio interesse sono tipicamente americane, e cioè: i rapporti tra l’Italia e la scoperta dell’America, le radici italiane delle abilità marinare che resero possibili le grandi scoperte geografiche, e l’origine delle forme capitalistiche di organizzazione imprenditoriale che sarebbero divenute il mezzo adottato dall’Occidente per sfruttare le risorse di quasi tutto il mondo. Le tre questioni che ho citate mi hanno condotto a Venezia, e a due ulteriori problemi. Il primo deriva dallo spostamento del centro dell’attenzione degli storici dai prìncipi alle classi subordinate, dai monarchi alle masse. Altrove ciò avrebbe probabilmente comportato lo studio delle popolazioni agricole: a Venezia comportava lo studio degli uomini di mare, dei mercanti e degli artigiani. Un secondo problema, di dimensioni ancora maggiori, era quello dei rapporti tra struttura politica e struttura economica della società. Sia le vedute filosofiche che quelle di parte riguardanti questo problema e l’interpretazione economica della storia presentavano l’attrattiva di essere soggetti controversi, benché mi paiano attualmente in gran parte assorbiti da altre questioni, come spiegherò. Ma vorrei prima tornare indietro per tentare di spiegare il punto di vista di un americano che inizia a studiare la storia economica e sociale dell’Italia. Quando andai a Venezia per la prima volta, nel 1927, le pagine iniziali dei libri di storia degli Stati Uniti generalmente presentavano la scoperta dell’America come un risultato della chiusura delle rotte mercantili tra il Mediterraneo e l’Estremo Oriente, una chiusura che avrebbe reso il Mediterraneo una pozza stagnante fino all’apertura del canale di Suez. Sappiamo adesso che tale spiegazione è falsa. Anzi, già negli anni attorno al 1930 si conoscevano frammenti di prove contrarie. Ma in qual modo ordinare le tessere del mosaico rimaneva un problema. Un quadro mentale non si cancella con la semplice dimostrazione di qualche imprecisione: per eliminarlo si richiede che esso venga sostituito da un nuovo modello, quale quello fornito più recentemente per il mondo mediterraneo da Fernand Braudel, ma assente negli anni ’30 e agli inizi degli anni ’40. La mia ricerca allora di un modello accettabile si volse verso lo studio delle navi. Le navi e le spezie sono state le due sirene che mi hanno attratto a Venezia. A Venezia il Professor Gino Luzzatto aveva da poco eretto dei pali indicatori essenziali per uno studioso dell’industria cantieristica medievale, ed io trovai nei libri e nelle monografie di Gino Luzzatto, ed in seguito nella sua conversazione, esempi del tipo di storia economica che più ammiravo. Prima della Seconda Guerra Mondiale la storia economica era stata proposta da vari eccellenti studiosi italiani. Con una rivista specializzata e cattedre universitarie dedicate specificamente a quel campo, essa era a quei tempi più chiaramente perseguita in Italia che negli Stati Uniti in quanto materia accademicamente distinta. Nella persona di Gino Luzzatto essa assommava un sicuro senso del ragionamento economico di base ed una profonda conoscenza della storia. Intanto un aspetto dei miei interessi storici faceva sì che mi volgessi verso lo studio del lavoro, degli operai. Secondo lo spirito dell’epoca molti storici si stavano ribellando contro la tradizione che obbligava a trattare solo dei ricchi e dei potenti. Per evitare di trovarci coinvolti, ci volgemmo o alla storia delle idee o a quelle del commercio, dell’industria e dell’agricoltura. A causa dell’attività dei mercanti italiani in tutta Europa, la bravura e intelligenza della tecnica affaristica e finanziaria italiana ricevettero particolare e ben meritata attenzione da parte di molti storici economisti, soprattutto italiani, come Luigi Einaudi, Armando Sapori e Federigo Melis. La mia ricerca attuale sul sistema monetario e bancario della Repubblica di Venezia segue le loro tracce. Però, importante anche per il mio interesse, era l’industria e il mondo di coloro che dipendevano dal lavoro fisico per il pane quotidiano; era un mondo diverso da quello dei banchieri e dei ragionieri. A Venezia trovai una finestra aperta sulla scena delle condizioni di lavoro di alcuni gruppi di lavoratori, e ciò attraverso le indagini generate dal mio interesse per le tecniche che permisero all’Europa di conquistare gli oceani. L’archeologia nautica, l’analisi tecnica di rappresentazioni pittoriche e di altri artefatti, permettevano infatti l’interpretazione di leggi di diritto marittimo, degli statuti delle corporazioni delle arti e dei mestieri, e di documenti mercantili, ed aiutavano in tal modo a rivelare le trasformazioni delle condizioni lavorative. Ad esempio, un uso più frequente delle galee al posto di navi interamente a vela, o viceversa, comportava dei cambiamenti nelle condizioni di lavoro e nella posizione sociale dei membri degli equipaggi. Tali mutamenti coinvolgevano la sostituzione di veleggiatori con rematori o viceversa. In un modo meno ovvio, modifiche al timone o alle vele, sia nelle galee che nei velieri, trasformavano sia il tipo di lavoro che la posizione sociale degli uomini di mare. Non furono tanto le tecniche in sé, né i loro effetti sulle scoperte geografiche, a mostrarsi interessanti, quanto gli effetti delle tecniche di costruzione navale e di navigazione sulla vita di bordo e dei cantieri navali. In tal modo la storia marittima ci ha offerto esempi del legame tra sviluppi tecnici e trasformazioni nelle condizioni di lavoro durante il Corso dei molti secoli che precedettero la Rivoluzione industriale inglese. Durante l’ultimo periodo del Medio Evo e agli inizi dell’Era Moderna, le città italiane in particolare erano focolai di innovazioni tecniche che si manifestavano poi nei nuovi sviluppi dell’organizzazione imprenditoriale. Gli artigiani italiani adattavano la loro arte alle esigenze di mercati vicini e lontani. In cambio essi ricevevano da terre lontane nuove materie prime e nuovi modi di adoperarle e l’ispirazione di nuovi procedimenti. Nella concorrenza interna per ottenere la clientela italiana, essi venivano spronati a migliorare la qualità dei loro prodotti dalla fantasia e dalla natura irrequieta ed artisticamente critica di quella stessa clientela. Le imprese fiorivano ed appassivano sotto diversi sistemi di controllo sociale. La varietà delle forme di organizzazione industriale è stata messa in ombra dal rilievo straordinario della manifattura tessile laniera. In tale industria artigiani lavoranti a domicilio dipendevano da mercanti capitalisti. Questa loro dipendenza variava però nelle diverse branche dell’industria tessile, e in altri tipi di manifattura, quali le industrie chimiche – rappresentate ad esempio dalle imprese vetrarie o da alcuni rami dell’edilizia e della metallurgia – era più importante un’altra forma di organizzazione industriale, una forma intermedia tra la piccola bottega artigiana indipendente e la fabbrica, e cioè l’officina centrale. Alcuni di questi grandi laboratori accentrati erano manifatture di proprietà privata ed operanti allo scopo di ottenere dei profitti. I maggiori opifici erano sotto il controllo del governo, ed avevano centinaia di dipendenti, o anche, come nel caso dell’arsenale veneziano, migliaia. Nell’integrare e ammaestrare il lavoro di un tale numero di lavoranti, queste officine comunali dipendevano in parte dall’addestramento e dall’orgoglio impartiti dalle corporazioni degli artigiani, ma ancor più dipendevano da varie forme di subappalto e di contratti interni. Solo dopo molta esitazione essi svilupparono regolamenti speciali e personale di sorveglianza che anticipavano quella che sarebbe stata la disciplina di fabbrica. Prima che l’Italia venisse industrializzata nel senso attuale della parola, mezzo millennio di ciò che si potrebbe definire protoindustrializzazione presenta allo studioso una combinazione di tutte le suddette forme di organizzazione imprenditoriale, diverse tra una città e l’altra, e variabili con il variare delle tecniche, dei mercati e dei mutamenti politici. Tali studi contengono legami con l’interpretazione economica della storia. Questi legami hanno contribuito in modo notevole a stimolare l’interesse per la storia economica, probabilmente ancor più in Italia che negli Stati Uniti, poiché le controversie riguardanti l’interpretazione economica erano più forti in Italia a motivo dei legami con la politica pratica di parte e con gli attacchi teorici contro una filosofia idealistica opposta ad un’interpretazione materialistica. In Italia ciò ispirò a studi della struttura economica e sociale dei Comuni medievali, e ciò attribuì un maggiore significato alla loro politica di quanto non facessero le storie di rivalità familiari narrate nelle cronache. Ma la storia economica non è semplicemente un aspetto subordinato dell’interpretazione economica della storia. Originariamente e fondamentalmente esse presentano ciascuna mire e caratteristiche distinte. Uno storico, come disse Marc Bloch, non è un uomo che sa ciò che è accaduto nel passato, bensì un uomo che tenta di scoprirlo, non uno che sa ma uno che cerca. La storia economica ha le sue radici più profonde nelle ricerche di conoscenza del tipo di problemi che uomini e donne comuni affrontavano nelle loro occupazioni quotidiane ed il loro modo di risolverli. La storia economica si distingue dalla storia sociale più generale per il particolare interesse nella produzione e nella distribuzione dei beni. I rapporti tra la vita quotidiana e la produttività economica erano invero molto stretti di modo che i ricercatori storici trovano parte delle risposte cercate nelle statistiche di costi e ricavi, di input e output, e nelle innovazioni tecniche. Ma soprattutto è da concentrare l’attenzione sui rapporti tra gli individui. La conoscenza delle situazioni sociali create dai tentativi dell’uomo di guadagnarsi la vita e di accumulare ricchezze è l’elemento fondamentale della storia economica. Al suo centro dunque troviamo i rapporti umani all’interno dei processi di produzione e distribuzione. La vitalità di questo centro della storia economica è indipendente da alcune particolari interpretazioni della storia. La sua indipendenza si rafforzerà con l’espansione della storia a una storia veramente mondiale. L’enorme espansione delle ricerche storiche durante il diciannovesimo secolo in Europa era dovuta principalmente al nazionalismo. Si analizzava il passato al fine di rinforzare una tradizione o di trovarne una che desse ad una popolazione una sua identità ed una sua unità nazionale. Questa funzione pare essere tuttora attiva nell’insegnamento della storia nelle scuole secondarie. Subordinato alle storie nazionalistiche europee era quel modo di vedere la storia del mondo sempre alla luce delle tendenze dominanti dell’Europa occidentale e dell’America. Tra queste tendenze troviamo il succedersi di una classe sociale all’altra nel predominio, un succedersi che culmina o nel capitalismo o nella sua sconfitta. Un’altra tendenza era quella di alcuni ottimisti che credevano di creare un mondo sicuro per la democrazia attraverso una forma di governo basata sulle elezioni libere. Benché questi due temi fossero talora opposti l’uno all’altro, essi potevano venire riuniti nella fede nel progresso e nel trovare la definizione del progresso nello sviluppo delle nazioni occidentali. Attualmente, nella seconda metà del ventesimo secolo, l’Occidente sta scoprendo che può esser possibile non avere in mano il controllo del futuro dell’umanità e che, anche avendolo, la conoscenza del passato del mondo occidentale non basterebbe a rivelare il significato fondamentale della storia di tutta l’umanità. Vista da questa prospettiva, la storia economica non serve tanto a descrivere il corso dell’ultima depressione, né a suggerire una possibile via d’uscita da quella presente. La conoscenza del lontano passato è essenziale per poter immaginare le possibilità aperte in un lontano futuro, per poter dar forma alle proprie mete e per trovare incentivi che conducano all’azione. L’interpretazione economica ha certamente un posto in questo contesto. Ma quando si ricerca il pieno significato della storia economica globale, non basta riassumerlo nell’uno o nell’altro corso ricostruito dalla storia dell’Europa occidentale. Ci furono molte traiettorie di sviluppo nel mondo, e molteplici forme di organizzazione economica, sia industriale che commerciale ed agricola. Dubito che si possano combinare per formare un’unica sequenza significativa. E’ probabile che gli ingrandimenti della materia della ricerca storica fratturino le sintesi tradizionali della storia economica. Ma l’ampliamento non debiliterà, al contrario credo che rafforzi, il desiderio di conoscenza dei tipi di problemi che uomini e donne comuni hanno affrontato nei loro tentativi di guadagnarsi la vita. I rapporti umani all’interno dei processi di produzione in Europa sembreranno un frammento nel quadro che sarà dipinto dalla ricerca sulla esperienza mondiale. Sarà un quadro enorme pieno di diversità. Anche il frammento italiano rinascimentale è ancora esplorato solo in parte ed è altamente suggestivo. Mi considero fortunato di aver potuto assaggiare molte delle gioie dell’esplorarlo, e di continuare a farlo.