Pisa, ottobre 2006
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
Desidero nuovamente esprimere il mio vivissimo ringraziamento ai giudici e alla commissione della Fondazione Premio Galileo Galileo e al Rotary Club italiano per questo riconoscimento che mi dà la possibilità di essere qui davanti a voi oggi , e di esprimere di nuovo il dispiacere che l’italiano non sia la mia lingua madre.
Quando ho cominciato a studiare la storia della scienza, circa cinquanta anni fa, la disciplina si concentrava sulla cosiddetta Rivoluzione Scientifica. Tutti noi dovevamo formarci un’opinione sulle modalità e sui tempi della transizione dalla filosofia naturale del tardo medioevo alla fisica matematica della modernità. I principali approcci erano due. Gli storici moderni individuavano una chiara frattura con il passato intorno all’inizio del XVII secolo; i medievalisti, invece, vedevano una continua integrazione delle idee scolastiche nella prima scienza moderna, un processo che secondo loro culminò nella prima metà del XVI secolo. Pur provenendo da direzioni opposte, ogni fazione convergeva nell’individuare nel lavoro di Galileo, che aveva cominciato ad insegnare matematica applicata all’Università di Padova appena prima dell’anno cruciale 1600, il test più importante per la propria tesi.
Precedenti giurie del Premio Galileo hanno riconosciuto la centralità della Rivoluzione Scientifica nella storia della scienza e nella storia della cultura italiana. Nel 1984 Stillman Drake, e nel 1966 Marshall Clagett, ricevettero il premio. Entrambi furono traduttori e interpreti magistrali dei documenti-chiave necessari allo studio delle origini intellettuali della Rivoluzione Scientifica. Tuttavia, essi arrivarono a conclusioni molto diverse. Clagett era un medievalista e aveva fondato la scuola di medievalisti che, a partire dal lavoro pionieristico di Pierre Duhem e Anneliese Maier, compilarono una raccolta delle anticipazioni della meccanica galileiana contenute negli scritti dei filosofi scolastici. Stillman Drake, sviluppando il lavoro di Antonio Favaro, scoprì in Galileo uno scienziato del XX secolo a pieno titolo, i cui debiti nei confronti del pensiero medievale non erano maggiori di quelli di Enrico Fermi.
Per quanto riguardava il punto d’arrivo della rivoluzione che Galileo aveva cominciato, non bisognava andare lontano: Isaac Newton. Secondo questa storiografia, Newton aveva integrato tutti gli elementi introdotti da Galileo e altri rivoluzionari in una fisica matematica che divenne il modello per la conoscenza della natura, sia nella sua forma che nelle sue procedure. Gli elementi con i quali Newton lavorò includevano idee sul moto, la costituzione del cosmo, la natura del vuoto; e anche oggetti materiali: gli esperimenti, e gli strumenti per eseguirli. Così, gli storici stabilirono l’alpha e l’omega di una delle più grandi trasformazioni del pensiero umano. O, se siete gradualisti, stabilirono l’inizio e la fine dell’ultima fase di un’evoluzione che cominciò con Tommaso D’Aquino. La qualifica di Galileo come rivoluzionario fu ulteriormente sancita dalla Chiesa cattolica che, come i suoi nemici le ricordavano incessantemente, proibiva l’insegnamento della cosmologia eliocentrica e aveva punito Galileo per averla difesa. Che la legge canonica e il costume giustificassero le azioni di papa Urbano VIII e i suoi inquisitori, o meno, non c’è dubbio che, come decisione amministrativa, la proibizione non era necessaria, era poco intelligente e anche controproducente. Tuttavia, è stata una benedizione per gli storici della scienza non italiani. Ci ha permesso di concentrare i nostri sforzi. Abbiamo speso molto tempo a rifare il processo a Galileo, e ne abbiamo speso molto poco a studiare lo sviluppo dell’indagine del mondo naturale in Italia dopo la sua morte. Abbiamo seguito l’azione al Nord Europa fino a Newton. Abbiamo avuto la soddisfazione di fare la cronaca del completamento della rivoluzione e di celebrare la promozione di Newton al rango di cavaliere e il suo essere (come si espresse un contemporaneo) “il più grande uomo che sia mai esistito”.
Negli ultimi decenni, alcuni storici dotati di spirito indagatore hanno trovato che il più grande uomo che sia mai esistito dedicò molto più tempo a leggere e mettere alla prova procedure alchemiche, a studiare storia antica, a memorizzare la Bibbia, a decifrare le profezie di Daniele, che non a studiare matematica e fisica. Apparve che Newton concepiva il mondo come un enigma e se stesso come l’ultimo profeta inviato per risolverlo. L’uomo il cui lavoro era considerato l’apice della Rivoluzione Scientifica si rivelò più vicino al Medioevo che al suo iniziatore Galileo.
Questo scambio di ruoli e l’inversione della cronologia mi affascinavano. Un giorno mentre riflettevo sul loro significato ho visto la Bologna060.jpg” target=”blank_”>linea meridiana di ottone nella basilica di San Petronio a Bologna. Dovete visitarla se non lo avete fatto. Regolate la visita in modo da trovarvi all’interno per il mezzogiorno solare, quando i raggi che entrano da un foro nel soffitto di una cappella laterale proiettano l’immagine del sole sulla linea. Non è difficile da trovare. Per essere in grado di raccogliere l’immagine del mezzogiorno per tutto l’anno la linea deve essere lunga sessantasette metri. E così era. E’ incastonata nel pavimento di marmo, fiancheggiata da scale numeriche e attraversata da placche di marmo con i segni dello zodiaco.
Dal momento che non ero all’altezza di risolvere l’enigma della Rivoluzione Scientifica, ho provato a scoprire perché qualcuno si fosse preso il disturbo di inserire una lunga asta di metallo nel pavimento di una chiesa; e anche perché i “fabbricieri” permisero al costruttore, Gian Domenico Cassini, di squarciare il pavimento e di aprire un foro nel soffitto, dal quale polvere e pioggia sarebbero entrate altrettanto liberamente dei raggi del sole. La domanda divenne un’ossessione, e poi, cosa più sana, un libro. La linea del mezzogiorno, o meridiana, in San Petronio si rivelò lo strumento principale di un osservatorio solare. Non era il solo. Nel 1702, su ordine di papa Clemente XI, la basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma ne ebbe una e negli anni cinquanta del Settecento un matematico gesuita ricostruì a Firenze una meridiana risalente all’inizio del XVI secolo. Questi tre osservatori posti all’interno di chiese costituivano ottime opportunità di studiare i moti più sottili del sole (o, se siete copernicani, della terra) fino al momento in cui sviluppi significativi nella lavorazione delle lenti e della loro montatura diedero vantaggio ai telescopi.
Mi ha sorpreso scoprire quanto potessero imparare gli astronomi esperti guardando l’immagine del sole che scivolava lungo i pavimenti di queste chiese. Due notevoli risultati attirarono la mia attenzione. Una era la conferma che il sole (o la terra!) ha un’orbita ellittica; l’altra era il rilevamento di un cambiamento continuo e molto piccolo nell’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al piano dell’eclittica. Il primo risultato era l’emblema dell’ultima versione del sistema eliocentrico copernicano; il secondo risultato poteva essere spiegato molto più rapidamente e plausibilmente ponendo in moto la terra invece del sole. Ciò mi presentava una strana immagine: mentre gli astronomi che osservavano all’interno delle chiese stavano trovando prove a favore della cosmologia copernicana, le autorità della Chiesa, da fuori, cercavano di mantenerne la proibizione.
Quando raggiunsi questo punto avevo appena terminato un periodo di lavoro amministrativo per l’Università. Avevo sviluppato una certa simpatia per i censori che dovevano far osservare la brutta ordinanza amministrativa, o ingiunzione, contro l’eliocentrismo. Come fecero tutti o alcuni di loro a ignorare le violazioni che divennero sempre più frequenti e ovvie dopo il 1700? Non vi annoierò con la risposta, salvo dire che con un cenno di assenso all’ingiunzione, gli astronomi cattolici potevano solitamente pubblicare quello che volevano – a meno che non si scontrassero con qualche ufficiale particolarmente zelante, o particolarmente ignorante. Durante il pontificato di Clemente XI, che terminò nel 1721, gli astronomi studiavano Newton in privato mentre ufficialmente e in pubblico gli scritti cosmologici di Copernico, Galileo e Cartesio, che Newton integrò, rimasero proibiti. I funzionari responsabili affrontarono allora il problema di rimuovere alcuni testi dall’Indice dei libri proibiti. Si dimostrò molto più difficile eliminarli che inserirli. Anche un pontefice potente quanto Benedetto XIV, che rimosse dall’Indice del 1758 la condanna totale degli scritti che appoggiavano le tesi copernicane, non volle affrontare l’Inquisizione a proposito di Galileo.
Tornato al problema generale della Rivoluzione Scientifica, mi sono convinto che se cominciò in Italia con Galileo, terminò sempre lì circa un secolo dopo la sua condanna. Newton non costituisce un buon punto finale nonostante i suoi ineguagliabili e sostanziali contributi alla conoscenza della natura. Ciò non perché sia un mago medievale. Il Newton pubblico non rivelò i suoi esotici pensieri retrogradi. Apparve come l’autore severo di un sistema del mondo costruito sulla base di una teoria matematica, quasi completamente scevro da speculazioni sulla storia e l’organizzazione dell’universo. Quando offrì speculazioni, fu attento a classificarle come “questioni”. Nessuna speculazione filosofica penetrò questa armatura. Non era neanche necessario. La Rivoluzione Scientifica aveva vinto in Inghilterra mentre Newton lavorava ancora nell’Università. Nessuna istituzione, statale o ecclesiastica, si oppose alle sue teorie. Il ruolo che giocò non fu quello di un eroe rivoluzionario, ma di un Napoleone, un imperatore delle scienze, che comandò autocraticamente dai suoi quartieri generali della Royal Society di Londra.
Nell’Italia di Clemente XI la rivoluzione era ancora viva, anche se la forza dell’opposizione andava affievolendosi mentre il Vaticano si preoccupava della sua posizione politica durante la guerra di successione spagnola e cercava di risolvere il conflitto polarizzante tra gesuiti e giansenisti. Il mio lavoro attuale è incentrato su un astronomo che, durante questo periodo, aiutò a diffondere le idee newtoniane in Italia e a proteggerle dalla censura. Il suo nome era Francesco Bianchini. Forse non lo conoscete, ma sono sicuro che conoscete molti dei suoi amici. Tra loro, papa Clemente XI, per il quale Bianchini costruì l’osservatorio solare di Santa Maria degli Angeli; Georg Wilhelm Leibniz, che riteneva Bianchini uno dei migliori matematici in Italia; Jean Mabillon, che lo riteneva uno dei migliori storici d’Italia; e Newton, che lo classificava con Galileo tra i “candidi cercatori di verità”.
La vita e le opere di Bianchini offrono un limpido e chiaro affresco della scena intellettuale a Roma durante le ultime campagne della Rivoluzione Scientifica. Era il più insigne astronomo nell’Italia del primo quarto del Settecento; ragionava come un copernicano, ma si tratteneva dal renderlo pubblico, e guadagnava i complimenti dei censori per il suo equilibrio tra scienza e devozione. Non sapevano che stava cercando le prove della parallasse stellare, un moto apparente delle stelle che dovrebbe verificarsi se la terra ruota attorno al sole. Non la trovò. Ma fu vicino a trovare qualcosa che era quasi altrettanto buona: l’aberrazione della luce stellare, un altro effetto del moto della terra attorno al sole. Quando l’astronomo inglese James Bradley trovò e interpretò l’aberrazione un decennio dopo che Bianchini l’aveva mancata, molti degli ultimi dubbiosi accettarono il fatto che la terra si muove.
Come filosofo della natura, Bianchini seguì il Cartesio modificato da Newton, il primo condannato e il secondo appena tollerato dai guardiani ufficiali della scienza in Italia. Come storico, anticipò molto del pensiero di Vico, analizzando la storia umana dalla creazione all’epoca omerica senza ricorso alle Scritture. Come archeologo incaricato di tutte le iscrizioni latine a Roma, un lavoro che Clemente gli assegnò dopo che ebbe finito di costruire la meridiana degli Angeli, Bianchini descrisse luoghi e artefatti in modo degno del suo successore Johann Joachim Winckelmann. Come matematico pratico si impegnò in un esame trigonometrico degli stati della Chiesa, che lo rese il primo geodeta fuori dalla Francia. Come matematico-storico interdisciplinare contribuì in molti modi all’arcana, ma essenziale, scienza della cronologia.
Ma questa è solo scienza. Bianchini fu anche consigliere della censura, predicatore del Vaticano, modello di devozione armoniosa, e agente del papa. Molte lettere cifrate al suo cardinale capospia in Vaticano sono sopravvissute. Di queste, la maggior parte risale alla fine della guerra di successione spagnola, quando Bianchini viaggiava per il Nord Europa. Tra i momenti più notevoli del viaggio (a parte la raccolta delle informazioni riservate) ci furono gli incontri con i suoi colleghi all’Académie des Science di Parigi, che lo avevano eletto socio straniero, forse l’onore più elevato nella Repubblica delle lettere; e anche visite a Newton, che con un gesto del suo scettro presidenziale, lo fece eleggere membro della Royal Society.
Le informazioni riservate di Bianchini includevano resoconti e valutazioni delle manovre diplomatiche mirate a porre fine alla guerra spagnola. Con l’aiuto di Luigi XIV, Clemente sperava di riuscire a condurre le parti avverse verso la pace e riportare gli Stuart cattolici al trono inglese, che stava per essere abbandonato dall’inferma regina Anna. Il piano era di far succedere ad Anna suo fratello non germano, Giacomo, noto nel resto d’Europa come Giacomo III. Giacomo era stato allevato in Francia da cattolico dopo l’espulsione di suo padre Giacomo II da parte del Parlamento. Ma il piano fallì a causa del ritiro unilaterale di Luigi XIV. Giacomo fuggì a Roma. L’insostituibile Bianchini divenne sua guida, custode e amico. Se volete misurare il clima intellettuale e politico di Roma durante l’accidentato ma creativo pontificato di Clemente XI, Bianchini è un barometro perfetto.
Ho giocato per qualche anno con l’idea di scrivere una biografia di Bianchini, ma mi sentivo inadeguato per questo compito. C’era una disparità troppo grande tra la sua educazione, le sue esperienze di vita e le mie. Molto recentemente, invece, ho cambiato idea, e ho deciso di farlo. Sono tuttora inadeguato. E’ il grande onore di aver ricevuto il Premio Galileo che mi ha incoraggiato ad andare oltre i miei limiti.
Ritengo prudente fermarmi qui, profondamente riconoscente per l’incoraggiamento che mi è stato dato, per il premio straordinario che mi è stato conferito, e per la vostra pazienza nell’ascoltarmi.