Pisa, ottobre 2011
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
Magnifico Rettore, signor Sindaco, Presidente della Fondazione Premio Internazionale Galileo Galilei, Autorità, Signore e Signori, buon pomeriggio.
Sono molto onorato di ricevere questo importante Premio e sono anche molto contento per avere l’occasione di parlare in una sede così prestigiosa di scienza e anche un po’ di chimica proprio quest’anno che è anche l’anno internazionale della chimica.
Viviamo in un Paese dove per giustificare i continui tagli all’istruzione, alla ricerca e alla cultura un noto ministro a cui piace molto fare battute ha detto che la cultura non si mangia. A questa infelice battuta vorrei contrapporne un’altra ironica e intelligente di Derek Bok già rettore di Harvard: Se pensi che l’istruzione sia costosa, prova con l’ignoranza. E’ una provocazione naturalmente, perché dovrebbe essere ovvio a tutti che lasciare i cittadini e in particolare i giovani nell’ignoranza un domani costerà molto più al Paese di quanto possa costare istruirli oggi, perché il mondo è già fragile di per sé, ed in questo mondo fragile i Paesi più fragili sono quelli che non dedicano sufficiente attenzione e sufficienti risorse all’istruzione, in particolare alla scienza e alla ricerca scientifica, che è quella che deve costruire il futuro. Non per niente in Germania ieri hanno annunciato che ci sarà un aumento del 10 per cento del budget per l’istruzione.
Ora per parlare di scienza non si può che cominciare dall’Università, il luogo dove la scienza si è sviluppata.
Come certamente sapete l’Università di Bologna da cui io provengo è probabilmente la più antica del mondo occidentale essendo stata fondata nel 1088 – questa è la copertina del libro pubblicato appunto nel 1988 per celebrare il nono centenario. All’inizio l’Università era semplicemente il radunarsi di un piccolo gruppo di giovani ricchi intorno alla persona che ne sapeva più di loro, il professore, che era pagato direttamente dagli studenti. A parte questo, si vede che già a quell’epoca l’Università non era molto diversa da oggi: c’era gente che leggeva il giornale, gente che dormiva e persino gente che spiava. A quell’epoca all’Università cosa si studiava? Beh essenzialmente teologia, legge e, in modo diciamo molto più parziale, le scienze naturali, perché le conoscienze appunto erano molto scarse e gli scienziati allora non venivano neanche chiamati scienziati ma venivano chiamati filosofi naturali, e questi filosofi naturali esploravano, contemplavano la natura nel tentativo di capirne le leggi e quindi avevano una conoscienza molto superficiale, per cui si può dire che a quell’epoca gli scienziati sapevano quasi niente, però di quasi tutto.
Poi è successo che a partire dal 1600 e particolarmente con Galileo si cominciò a pensare che per capire le leggi della natura si può fare qualcosa di più che stare lì a contemplarla e osservarla. Ci si rese conto che si può interrogare la natura e si può anche costringerla a rivelare i suoi segreti, e si può costringere la natura a rivelare i suoi segreti mediante esperimenti.
Allora, a partire da quell’epoca la scienza si è naturalmente sviluppata in modo esponenziale, e sviluppandosi fatalmente si è anche suddivisa in discipline: quindi, col passare degli anni, è successo questo. Oggigiorno quindi uno scienziato che vuole fare qualcosa di utile dovrà collocarsi – per esempio io sono un chimico, sarò immagino da queste parti, devo fare ricerche molto approfondite in un settore molto specifico: cioè, in poche parole, gli scienziati oggigiorno devono essere molto specializzati. Questa estrema specializzazione causa un fatto che è esattamente questo: mentre un tempo gli scienziati sapevano quasi niente di quasi tutto, oggi è il contrario, gli scienziati sanno quasi tutto ma di quasi niente, e spesso per parlare di quel quasi niente nel quale sono estremamente specializzati usano parole che quasi nessuno capisce – speriamo che non sia il caso di questa sera.
Naturalmente si è venuta a creare una frattura fra le varie discipline – ma questo è inevitabile perchè non si può saper tutto naturalmente -.
Grave invece è la frattura che si è venuta a creare fra cultura scientifica e cultura umanistica cosiddetta, messa in evidenza una cinquantina di anni fa da questo studioso inglese secondo il quale il motivo è che per natura gli scienziati hanno il futuro nel sangue mentre gli umanisti hanno gli occhi rivolti al passato. Ma in realtà la cultura è una sola, e questa frattura, se c’è, fra cultura umanistica e cultura scientifica bisogna ricomporla al più presto perché solamente conoscendo bene il passato si può vivere bene il passato, si può vivere bene il presente e poi costruire anche un futuro migliore.
Le due culture vanno messe a confronto, insomma, e mettendole a confronto si vedranno le diversità ma appunto è dalle diversità, come diceva anche Popper, che nasce poi il progresso, perché la diversità è sempre un grande valore a cui spesso noi non diamo abbastanza importanza.
Oltre alla frattura fra le varie discipline e fra le cosiddette due culture a mio parere oggi c’è una terza frattura molto più pericolosa, quella fra scienza e società, fra università e città, perché lo scienziato oggi è in una situazione molto particolare: per far prevalere la scienza deve essere molto specializzato, e d’altra parte non può neanche isolarsi dal mondo in cui vive; dovrebbe in qualche modo sentirsi responsabile del fatto che ha studiato, dovrebbe sapere che viviamo in un mondo fragile e che in un mondo fragile c’è molto bisogno degli scienziati. Anche secondo questo illustre Premio Nobel in chimica “spetta agli scienziati la responsabilità di stabilire le linee guida verso un progresso reale che protegga anche gli interessi delle prossime generazioni”.
Quindi gli scienziati devono assumersi direttamente la responsabilità che deriva loro dalla conoscenza acquisita, e i politici e gli amministratori secondo me hanno il dovere di ascoltarli, anzi avrebbero il dovere di andarli a cercare. Per colmare questa frattura fra scienza e società, fra università e città a Bologna da qualche anno abbiamo fatto partire un corso interdisciplinare intitolato proprio “Scienza e Società”. E’ un corso aperto a tutti, anche i cittadini comuni, perché cerca di far sapere a tutti che la scienza non è solo importante ed utile, ma è anche bella. Quest’anno vorremmo svolgere questo corso non più all’Università ma in una sede civica, una sede del Comune.
Abbiamo visto la scienza da dove viene e anche un po’ quali sono le difficoltà attuali, ma dovremmo chiederci: dove va la scienza? C’è chi dice che la scienza sta per finire, e ci sono libri appunto su questo argomento; i giovani ricercatori qui presenti – ammesso che ce ne siano – diranno “se la scienza sta per finire abbiamo scelto proprio il mestiere sbagliato; ormai tutto è stato scoperto, che cosa andiamo a cercare? Non avremo mai un lavoro.” Beh, un lavoro non lo avrete, penso, a causa dei tagli alla ricerca, ma non perché la scienza sta per finire, perché la scienza non sta affatto per finire: questa storia della fine della scienza è una vecchia storia per così dire del riduzionismo, di chi pensa che tutto sia riconducibile ad un’unica grande teoria magari espressa con una bella equazione matematica. C’è per esempio questo scienziato inglese che è autore di questo libro, “La Teoria del Tutto”, una teoria dopo la quale, chiarita questa, non ci sarebbe più niente da scoprire. Ma bisogna diffidare delle persone che sanno tutto; lo aveva già detto molti anni fa Niccolò Machiavelli – “Ci sono persone che sanno tutto, ma questo è tutto quello che sanno”. Proviamo a leggere insieme le conclusioni riportate nell’ultima pagina di questo libro. Dice: “Se saremo abbastanza intelligenti per scoprire questa teoria unificata, (…) decreteremo il definitivo trionfo della ragione umana, poiché allora conosceremo il pensiero stesso di Dio”. Ecco: diventare come Dio è la segreta ambizione di molti scienziati; io penso che si dovrebbe volare più basso e l’essenziale è che anziché sconfinare nella filosofia e nella teologia dovrebbero chiedersi, come fa quest’altro scienziato in un libro che è intitolato “Cosa rimane da scoprire“, quali sono le cose che ancora non conosciamo. Si tratta di un elenco lungo; non solo lungo, ma che va sempre crescendo. Per esempio appunto cos’è la materia: proprio in questi giorni si sta parlando di neutrini e non si capisce bene cosa stiano facendo; oppure la luce: Einstein se ne intendeva, diceva: “Cosa sono i quanti di luce? Cinquant’anni di intensa meditazione non mi hanno permesso di rispondere a questa domanda. Naturalmente oggi tante persone superficiali pensano di saperlo, ma sbagliano.”Anche la rivista Science, la più importante diciamo in campo scientifico appunto, tempo fa si pose il problema di individuare le 25 domande più importanti che non hanno ancora avuto una risposta. Provarono a fare questo elenco e arrivati alla venticinquesima si accorsero che non era finito e andarono avanti fino a 125; però si accorsero anche dopo 125 che non potevano fermarsi, e allora chiusero con questa frase: “L’autostrada dall’ignoranza alla conoscenza va in entrambi i sensi; man mano che la conoscenza si accumula diminuisce l’ignoranza del passato ma sorgono nuovi interrogativi che espandono l’area dell’ignoranza da esplorare.”
Questa stessa cosa era stata detta molto meglio, in modo più poetico 250 anni prima da uno scienziato europeo che diceva “Sì è vero la scienza cresce giorno dopo giorno, anno dopo anno, ma cosa accade? Che più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine dell’oscurità entro cui il cerchio è confinato.” Quindi questo succede: cresce la conoscenza ma crescono molto di più le cose che non si conoscono. E’ un altro stile questo rispetto a quel paragone prima americano; e appunto io agli studenti, quelli che vanno all’estero, in America, dico sempre “non abbiate dei complessi di inferiorità nei confronti degli studenti americani, perché voi avete un retroterra culturale ben più vivo e più forte di loro”; e infatti quando vanno negli Stati Uniti i nostri studenti fanno delle ottime figure, perché la cultura forse non si mangia, ma fa crescere intellettualmente le persone, e noi in Italia di cultura ne abbiamo avuta e speriamo continueremo ad averne.
Vediamo ora alcune caratteristiche della scienza. Anzitutto bisogna riconoscere che la scienza ha dei confini e dei limiti. Per esempio la scienza spiega come ma non perché avvengano i fenomeni naturali. Ad esempio conosciamo bene la legge che governa la forza di gravità, ma non sappiamo perché due masse agiscono a distanza una sull’altra. La scienza poi non può dare risposte a quelle che sono le domande di senso, per così dire: che senso ha la mia vita, esiste Dio? Ecco, a queste domande la scienza non può rispondere. La scienza non può neppure farci diventare più buoni – che ne avremmo tanto bisogno – e non può neanche farci vivere in un mondo più giusto, perché quest’ultimo è compito della politica, che naturalmente deve appoggiarsi anche alla scienza.
Tutti sanno che la scienza è importante perché ci permette di conoscere come è fatto il mondo e come è fatto l’uomo, e anche ci permette di cambiare sia il mondo che l’uomo – e questo mette sulle nostre spalle una grossa responsabilità. Poi la scienza è utile perché fa guarire le malattie, ci fa fare meno fatica, ci permette di vivere una vita più piacevole; però sapete anche che oltre che essere utile la scienza può anche essere molto dannosa.
Bisogna anche sottolineare che la scienza è importante e utile non solo per i benefici materiali che ci apporta, ma ancora di più perché la scienza educa alla democrazia, nel senso che le caratteristiche della scienza, che sono appunto rigore, oggettività, dubbio, confronto, collaborazione, libertà di pensiero ecc. sono i pilastri della democrazia. In particolare vorrei sottolineare due di questi pilastri. Uno è la collaborazione. Sapete che la ricerca al giorno d’oggi si fa non più uno scienziato nella sua torre d’avorio -che d’avorio magari non era – ma in gruppi di ricerca anche abbastanza numerosi che poi collaborano con altri gruppi di ricerca che sono in altre città o in altri paesi. Ecco, il sapere scientifico è appunto un sapere collettivo, è un grande edificio costruito pietra su pietra da un gran numero di persone. “Noi siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere più lontano di loro non a causa della nostra statura o della acutezza della nostra vista ma perché, stando sulle loro spalle, vediamo più lontano di loro.”
L’altro pilastro è il confronto, lo scambio di idee. Lo scambio di idee è una cosa fondamentale, e non solo nella scienza; il concetto dello scambio di idee è riassunto in questo noto aforisma di un intellettuale americano “Se tu ed io ci scambiamo un dollaro, dopo restiamo sempre con un dollaro ciascuno; se invece ci scambiamo un’idea dopo tu ne hai due e io pure”. Pochi sanno però che questo aforisma lo aveva già detto George Bernard Shaw usando anziché il dollaro la mela.
Il titolo del mio intervento era “scienza, chimica e creatività”; in genere si pensa che gli scienziati possano essere persone creative. Allora potremmo pensare che uno scienziato creativo sia quello che si chiama un “genio”, e forse è così, però ricordiamoci che secondo Edison che se ne intendeva “genio è uno per cento ispirazione e novantanove per cento sudore”. Quindi gli scienziati sono persone come le altre; gente che lavora, gente che magari ogni tanto ha delle idee originali – ogni tanto. Infatti, Einstein diceva “non c’è bisogno di un quaderno per le idee brillanti, perché sono eccezionalmente rare”, ed un altro scienziato contemporaneo nel suo libro intitolato “Creazione” dice proprio questo, “Gli scienziati raramente hanno salti di immaginazione; la maggior parte di loro non ha mai un’idea originale”. Quindi non diamoci tante arie; nello stesso tempo però dobbiamo essere orgogliosi di costruire tutti assieme quel grande edificio, quella grande cattedrale che è la scienza.
La scienza è importante e utile e questo tutti lo sanno; possiamo chiederci “la scienza è anche bella”? Sì, è bella, perché scoprire i misteri della natura sia che si parli ad esempio delle galassie oppure, come noi chimici, di piccolissimi oggetti chiamati molecole, conoscere appunto questi segreti provoca stupore e meraviglia. C’è anche chi paragona il mestiere dello scienziato con quello dell’artista. E’ vero, non è vero, cosa c’è di differente; io penso che ci sia una differenza abbastanza notevole. Per spiegarmi faccio riferimento a questa bella quercia: cosa succede, che davanti a uno spettacolo di questo genere uno scrittore può trarre lo spunto per scrivere una pagina magistrale come questa di Tolstoj oppure che so, un pittore può prendere lo spunto per dipingere un bellissimo quadro.
E uno scienziato? Beh anche uno scienziato ammira uno spettacolo bello come questo, ma a differenza di quanto succede agli artisti lo scienziato non si ferma alla bellezza. Pensa subito ad esempio che non ci sarebbe l’albero se non ci fosse il sole, anzi sa, per usare le parole di un grande scienziato, “sa che un albero è fatto essenzialmente di aria e di sole. Quando brucia torna ad essere aria e nel calore della fiamma ci ridà il calore fiammeggiante del sole che era stato imprigionato per convertire l’aria in albero.”Vedete, quando si conosce la scienza il mondo appare sotto una luce diversa. Un albero quindi è fatto di aria e di sole; lo scienziato lo sa ed è profondamente meravigliato e vuole capire perché; allora la sua attenzione si sposta su un’altra realtà. Immagina una scena molto più semplice per esempio questa, un albero e il sole, però si pone delle domande molto profonde: vuole capire perché. Perché per far crescere un albero ci vuole la luce del sole? Come fa l’albero a utilizzare l’energia del sole? E infine, cos’è la luce del sole? Ecco, lo scienziato sa, ma sa anche di non sapere, mentre gli altri, gli artisti non si pongono il problema, hanno altre aspirazioni; si potrebbe dire che lo scienziato è una persona più curiosa delle altre, perché appunto la scienza nasce dalla curiosità. Lo scienziato sa di non sapere, e nello stesso tempo si sente povero e stupito dalle meraviglie della natura, e per soddisfare la propria curiosità fa domande alla natura. Le domande le fa sotto forma di esperimenti: ecco, gli esperimenti naturalmente devono essere ideati con fantasia, preparati con cura, e poi naturalmente più intelligente è la domanda, cioè l’esperimento, e più importante sarà la risposta – e c’è anche chi dice, e in effetti penso che sia vero, che le grandi sorprese nel campo della scienza saranno risposte a domande che non siamo ancora in grado di formulare. Poi lo scienziato, fatto l’esperimento – cioè fatta la domanda alla natura – si mette in ascolto. Ascolta, cioè cerca di capire i risultati dell’esperimento, che sono le risposte che da la natura. L’ascolto deve essere un ascolto molto attento, particolare, direi che deve essere l’ascolto come di un innamorato, anche perché, come dice un grande scienziato, “ogni scoperta consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò a cui nessuno ha mai pensato“. Ascoltando si impara, quindi dall’ascolto e dai risultati della conoscenza; e quando si conosce qualcosa di nuovo, sia che si tratti appunto della struttura dell’universo o più modestamente come reagisce una molecola, si arriva allo stupore e alla meraviglia; e naturalmente lo stupore suscita nuova curiosità, la curiosità nuovi esperimenti che portano nuovi risultati, nuova conoscenza; allora si potrebbe pensare che questa giostra diciamo, questo gioco delle domande fatte alla natura e dell’ascolto e l’interpretazione delle sue risposte, sia destinata a finire in pochi giri; invece non è così, perché, come abbiamo già visto e come ben sa chi lavora nella scienza, succede che ogni scoperta scientifica genera più domande di quelle a cui da risposta. Uno scienziato quindi non può mai dire “ho capito tutto”: per questo, a chi gli chiede “Hai acquistato conoscenza, che ti manca?” la risposta sapiente dello scienziato saggio non può che essere questa: “Così è in verità. Se tu hai acquistato conoscenza, allora soltanto sai quel che ti manca.”
La scienza quindi è importante, utile e bella; avere la possibilità di entrare nel mondo misterioso e affascinante della scienza è un grande privilegio: lo dico ai ragazzi, ai giovani; è un privilegio, ma poi è anche una responsabilità.
Chimica. Non vorrei che qualcuno prendesse su e uscisse appena vede la parola chimica. Perché chimica è un qualche cosa che ha una cattiva fama; qualcuno qui penserà “come fa ad essere bella la chimica?”, qualcuno dirà “ma la chimica soprattutto è qualcosa di brutto, di cattivo”. No, il problema è che anche la chimica, come tutte le scienze, può essere diciamo buona o cattiva, dipende dell’uso che se ne fa. La chimica è importante perché il mondo della chimica è il mondo materiale che è intorno a noi, di cui noi stessi siamo parte. Forse tutti sanno che i costituenti ultimi della materia sono gli atomi – l’atomo di idrogeno, di ossigeno, eccetera eccetera – ma forse pochi hanno pensato o sanno che i veri attori del mondo materiale e del mondo chimico non sono gli atomi separati, ma sono aggregati di atomi, le molecole. Per esempio la sostanza che chiamiamo acqua è fatta appunto da molecole d’acqua, costituite da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, e così l’ammoniaca, e così l’alcool etilico; sono tutte molecole. Le molecole i chimici le rappresentano con queste formule che possono apparire un po’ bizzarre, ma si possono anche rappresentare le molecole con dei modelli di tipo lego, modelli molecolari, che sono cento milioni di volte più grandi della realtà ma hanno il pregio di far capire subito che le molecole sono degli oggetti, degli oggetti che hanno non solo una composizione ma hanno anche una forma, una struttura tridimensionale. La chimica sta tutta qui. Intanto bisogna capire che le molecole son molto piccole, miliardesimi di metro – cioè nanometro -, ma sono oggetti, oggetti con dimensione, composizione, forma e struttura specifica. La prima cosa è: ma piccole quanto, queste molecole? Piccole. Piccole in modo incredibilmente piccolo. Posso fare un esempio. Se prendiamo una goccia d’acqua, in una goccia d’acqua ci sono dieci alla ventuno molecole – uno di quei numeri che non si sa cosa voglia dire, ma se facciamo dei paragoni e supponiamo di prendere tutte le molecole che sono in una goccia d’acqua e di distribuirle a tutti gli abitanti della terra: a ciascuno ne toccano 200 miliardi. Oppure supponiamo di prendere le molecole che sono in una goccia d’acqua e di contarle una al secondo – una, due, tre: beh, ci vorrebbero trentamila miliardi di anni. Ma chi ci crede? Appunto, chi ci crede: la scienza è fatta così. Quante cose incredibili, ma sono vere. D’altra parte che si dubitasse della scienza è una cosa antica. Già Goethe si opponeva all’uso del microscopio: diceva che se c’era qualcosa che non si poteva vedere ad occhio nudo non si doveva andarla a vedere perché evidentemente era nascosta per qualche buona ragione. Ora, la scienza si comporta esattamente in modo opposto a questo, la scienza vuole andare a vedere tutto, e a forza di andare a vedere tutto succede che si vedono anche le molecole, che pure sono così piccole.
Vedete, questa è una molecolaccia di cui non sto neanche a nominare il nome, una molecola, comunque, un qualcosa sempre nel campo dei miliardesimi di metro: con delle tecniche speciali al giorno d’oggi si vedono come delle “fotografie” fra virgolette di queste molecole. Uno virgola cinque miliardesimi di metro. Quindi le molecole ci sono, tutti ci credono, anche se i chimici già lo sapevano da centocinquant’anni.
Ecco, le molecole dunque sono piccole, ma come dicevo prima sono degli oggetti. Per esempio la molecola di caffeina – fatta da carbonio, idrogeno eccetera, i chimici la rappresentano così – è un affare di questo tipo, è ingrandito cento milioni di volte; e l’acido acetilsalicilico è invece questa; e sono diverse, e avendo appunto diversa composizione, struttura e dimensione hanno anche diverse proprietà sugli organismi: così la caffeina ci tiene svegli e l’acido acetilsalicilico ci abbassa la febbre. Allora colgo anche l’occasione di queste due molecole perché la caffeina è una molecola che si trova in natura; invece l’acido acetilsalicilico no, è una molecola artificiale. Questo mi permette di ricordare che il chimico ha un duplice ruolo: da una parte esplora la natura, esplora il mondo: esplorando il mondo, ha scoperto circa 5 milioni di molecole naturali, e cerca di capire come funziona il mondo dal punto di vista chimico, per esempio come funziona la fotosintesi delle piante. Ma oltre che essere esploratore, via via che passa il tempo, il chimico diventa sempre più inventore: cioè crea nuove molecole, molecole che non esistono in natura – finora ne ha create circa 15 milioni – e poi crea anche nuovi processi: per esempio, il processo fotovoltaico non c’è in natura, ma gli scienziati lo hanno creato. Si dice quindi giustamente allora che la chimica è un libro non soltanto da leggere – che sarebbe quella parte che c’è già in natura – ma anche da scrivere – cioè tutta quella parte artificiale – e se la parte da leggere è ancora molto vasta, quella che si può scrivere è praticamente infinita. Ecco perché la chimica caratterizzerà anche il nostro futuro, perché poi la chimica è una scienza centrale, la chimica è in stretto contatto con la fisica ed è fondamento di discipline emergenti come la scienza dei materiali, l’ecologia. La chimica ha dato nuove prospettive alla biologia, che nella sua versione più avanzata si chiama appunto biologia molecolare la quale a sua volta ha rivoluzionato la medicina. E poi bisogna soprattutto ricordare che non si potranno trovare soluzioni a quelli che sono i più importanti problemi che ha l’umanità – alimentazione, energia, informazione, salute, ce ne sarebbero tanti – se non ci fosse il contributo della chimica.
Allora faccio alcuni esempi, vado un pochettino nel dettaglio ma spero di dire cose molto semplici cominciando dall’informazione. Questa qui, vedete, è la fotografia del primo computer, 1944. Il computer era grande come un appartamento – tutto questo insieme è il computer -, pesava 30 tonnellate, aveva 19.000 valvole – le valvole le conosciamo noi vecchi, i giovani non sanno neanche cosa siano – e consumava 200 kilowat. Ecco, io in questo momento sto usando qui un computer che pesa meno di un chilo, anziché 19.000 valvole ha 100 milioni di transistor e consuma pochissimo. Poi questo computer grandissimo qui ogni mezz’ora si rompeva e dovevano ripararlo – era fatto da tanti componenti. Il mio spero che non si rompa entro mezz’ora, se possibile.
Come è successo questo fatto? Come si è passati da questo elefante qui a questa piccola cosina qui? E’ successo con la miniaturizzazione, cioè gli ingegneri, i fisici hanno imparato a prendere materiali macroscopici e a farli sempre più piccolini con delle tecniche speciali, laser eccetera, quindi si è arrivati alla microtecnologia, cioè i microcircuiti – micro vuol dire dieci alla meno sei, vuol dire milionesimo di metro. Ma le molecole sono ancora mille volte più basse, quindi se si va alla nanotecnologia il livello diventa dieci alla meno nove, cioè miliardesimo di metro. E’ possibile una ulteriore miniaturizzazione dalla micro alla nanotecnologia? Beh, dall’alto è fatica; ci sono dei problemi tecnici e anche economici. Ma allora qui subentrano i chimici, perché i chimici conoscono bene le molecole, e quindi dal basso, mettendo insieme le molecole, possono fare degli oggetti di dimensione nanometrica che possono in qualche modo essere utili per tanti motivi. Allora come agisce appunto il chimico in questo approccio dal basso verso la nanotecnologia? Agisce in questo modo. Intanto prepara, studia, disegna delle molecole che hanno delle proprietà ben definite – che so io, assorbire luce, trasferire elettroni, qui è schematizzato naturalmente – poi assembla queste molecole in sistemi chiamati supramolecolari i quali, grazie diciamo alla “collaborazione” fra virgolette delle proprietà che hanno i componenti, sono in grado di svolgere delle funzioni più pregiate. Ecco, questa è la chimica supramolecolare che è stata menzionata parlando appunto della mia attività. Questa chimica supramolecolare si può chiamare anche ingegneria a livello molecolare, ma si può chiamare anche nanotecnologia, perché appunto questi oggetti, le molecole, sono oggetti di dimensione nanometrica. In effetti alcuni chimici oggi stanno in qualche modo lavorando come fanno gli ingegneri; cioè gli ingegneri lavorano diciamo su oggetti macroscopici – ordine di grandezza metro – i chimici invece lavorano diciamo su oggetti microscopici molecolari e cercano di fare appunto dei dispositivi, delle macchine a livello nanometrico.
Faccio qualche esempio.
Questo, vedete, è un filo, ma è un filo molecolare. E’ un filo lungo 4,2 miliardesimi di metro; un filo che conduce la luce – faccio entrare la luce di qui e se ne esce la luce di qua.
Oppure si può fare anche un po’ di tutto: esiste nel mondo macroscopico una presa e una spina? Beh, anche i chimici sono in grado di fare, a livello nanometrico, una presa e una spina, e possono incastrare l’una nell’altra in modo tale che quando sono connessi se mando luce a questa che era la presa la luce esce dalla spina.
Ma si può fare anche la prolunga; si possono fare tantissime cose conoscendo bene la chimica.
E si possono fare anche delle molecole intelligenti usabili nella logica.
Sapete cosa è una porta logica AND.
E’ schematizzata con questo circuito che penso sia facile da capire: c’è una pila e c’è una lampadina, ma la lampadina non si accende se io non chiudo i due interruttori. Devo chiudere questo e questo perché sono disposti in serie – appunto AND – e appunto solamente se chiudo entrambi gli interruttori avrò che si accende la lampadina. Beh, c’è questa molecola che praticamente si comporta in modo logico ugualmente a questo circuito. E’ una molecola che inizialmente è in grado di emettere luce, però quando è attaccata a queste altre due molecole, queste altre due molecole hanno la capacità di prevenire l’uscita della luce di questa, quindi non si ha emissione di luce. E’ la situazione di due interruttori aperti. Io posso chiudere i due interruttori agendo su questa molecola e su quest’altra con due input che non sono interruttori ma sono input chimici, cioè con lo ione sodio, che va a finire qui, e con lo ione idrogeno, che va a finire qui, io impedisco l’attività che hanno questi due componenti di spegnere la luminescenza, quindi questa qui torna a emettere.
La chimica quindi giocherà un ruolo sempre più importante anche appunto nell’elaborazione delle informazioni, perché questi input fotonici, elettronici, chimici possono essere elaborati da molecole “intelligenti” per fare tante cose che magari si potranno discutere in altra sede.
Altro importante argomento è: è possibile fare delle macchine molecolari? E cosa sono le macchine molecolari? Intanto bisogna ricordarsi che il nostro corpo contiene un sacco di “motori, macchine e messaggeri”, cioè nelle cellule noi abbiamo centinaia di tipi di motore e macchine molecolari, cose piccolissime che sono quelle che ci fanno camminare, parlare, pensare eccetera. Il meccanismo di alcune di queste macchine è stato chiarito: per esempio quando si muove un muscolo cosa succede? Se io faccio una zoommata nel piccolo, nel piccolo, nel piccolo vedo che in ultimo ci sono delle molecole che si muovono, scivolano sopra altre molecole, quindi in ultimo la contrazione di un muscolo corrisponde a miliardi di velocissimi movimenti su scala molecolare.
Ma ci sono cose più complicate; per esempio, nel nostro corpo si fa la sintesi dell’ATP; ebbene, la sintesi dell’ATP avviene nelle nostre cellule ad opera di un motore rotante, veramente un motore rotante che è troppo difficile naturalmente anche qui da descrivere. Volevo solo sottolineare che in natura ci sono delle macchine molecolari complicatissime; noi in laboratorio non siamo capaci di farle, ma possiamo fare qualcosa di originale.
Per esempio possiamo fare una molecola come questa fatta da un anello e da un filo con due grossi gruppi alle estremità in modo che l’anello non possa più uscire, e lungo l’anello avere due stazioni per così dire, due luoghi attorno ai quali l’anello sta volentieri. E possiamo provare se riusciamo a spostare la posizione dell’anello con un input luminoso, cioè con la luce del sole, e creare quindi, se possibile, un nanomotore artificiale che funziona con luce solare. Questa è una molecola reale che abbiamo costruito fatta da diversi pezzi e lunga 6 manometri per sei miliardesimi di metro; qui c’è una schematizzazione di come funziona. Questa qui sarebbe la luce, un fotone che arriva su questa molecola, su questa, dopodiché ci sarà un elettrone che viene spostato, va a finire qua; l’anello allora è costretto a sua volta a spostarsi e quindi quello che in qualche modo avviene è questo: arriva un fotone, un quanto di luce, eccita quella molecola; questa molecola, eccitata, manda un elettrone in quest’altro punto; quando l’elettrone arriva qui destabilizza l’interazione con l’anello, l’anello è costretto a muoversi; però l’elettrone poi torna indietro, e quando l’elettrone è tornato indietro l’anello deve tornare indietro. Quindi questa qui in qualche modo è la conversione di energia solare in energia meccanica, anche se poi l’utilizzazione è molto difficile.
Chiudo brevemente accennando ad un problema molto importante, quello dell’energia. Perché l’energia è molto importante? Perché intanto per vivere consumiamo energia; ma non solo per vivere: qualsiasi cosa noi facciamo, abitazioni, strade, industrie, ci vuole energia. Insomma, in breve senza energia non si può fare nulla, ecco perché l’energia è importante. Ma allora, se è così importante, vediamo come è stata la breve storia dell’energia nei secoli. Cominciamo dal 3000 Avanti Cristo. Che energia usava la gente nel 3000 Avanti Cristo? Beh, c’era poca gente e naturalmente usavano l’energia delle loro mani, degli animali che li aiutavano; se avevano freddo si scaldavano con il fuoco e se volevano andare in barca usavano il vento. Quindi, usavano queste energie ed erano poche le persone, e così è rimasta la situazione per millenni. E’ cresciuto un po’ il consumo di energia semplicemente perché cresceva la popolazione, e siamo arrivati qui. Perché mi sono fermato qui, circa 2-300 anni fa? Perché è quando l’uomo ha scoperto che poteva utilizzare una forma di energia molto comoda e molto potente, cioè i combustibili fossili. Allora è iniziata la rivoluzione industriale; ci siam messi a consumare energie in quantità enormi; oggi il 90 per cento delle energie viene dai combustibili fossili, però negli ultimi 10 anni abbiamo anche saputo che si stanno esaurendo – si parla di picco del petrolio eccetera. Poi l’uso dei combustibili fossili causa danni al clima – il famoso effetto serra – e alla salute. Allora siamo costretti a sviluppare fonti di energia alternative, ma bisogna stare molto attenti perché non è che possiamo scegliere la prima forma di energia che ci capita fra le mani. Noi abbiamo bisogno, specialmente nel mondo fragile come è oggi, di una forma di energia che soddisfi questi requisiti: deve essere abbondante – sennò non ci serve a nulla; inesauribile – sennò siamo da capo; ben distribuita – e questo è importantissimo, perché se è accentrata in certi luoghi non ci sarà mai la pace; non deve essere pericolosa per l’uomo e per il pianeta; deve favorire lo sviluppo economico, colmare le disuguaglianze che sono tante nel mondo d’oggi, favorire la pace. Ecco, allora si può facilmente vedere per esempio che l’energia nucleare non soddisfa questi requisiti – inutile discutere; se vogliamo possiamo anche discuterne ma è assolutamente il contrario di essi. – Cos’è che può soddisfare questi requisiti? Le energie rinnovabili, e in particolare l’energia solare. Perché? Perché bisogna sapere che la terra riceve dal sole in un’ora una quantità di energia pari a quella che l’umanità consuma in un anno, quindi circa diecimila volte più abbondante di quello che ci serve. Il sole brillerà 4 miliardi e mezzo di anni, quindi è inesauribile, anche. L’energia solare è ben distribuita su tutta la terra, non è pericolosa per l’uomo e per il pianeta, favorisce lo sviluppo economico e la pace, aiuta a colmare le diseguaglianze. Naturalmente ha dei difetti: nel senso che è poco concentrata ed è intermittente, ma è qui che appunto la ricerca scientifica deve aiutare. Fatto sta che già al giorno d’oggi l’energia solare si può convertire in calore nei pannelli termici, che tutti penso conoscano, in elettricità nei pannelli fotovoltaici e si può convertire, o si cercherà di convertire anche in combustibile. Già la chimica da un forte contributo qui perché i pannelli fotovoltaici richiedono da tanti punti di vista un progresso nel campo della chimica, ma vorrei sottolineare adesso per qualche minuto come fare i combustibili? Perché a noi servono anche i combustibili, è questo il fatto. Il sogno della chimica è questo: la fotosintesi artificiale, cioè partire dall’acqua e dalla luce solare – che non costa niente – e scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno. Facendo questo si ottiene l’idrogeno, che è un combustibile di cui si parla spesso ma che in realtà poi non c’è in natura e bisogna farselo. Una volta fatto l’idrogeno in questo modo, reagendo con l’ossigeno l’idrogeno ci da energia – questo lo possiamo fare in motori a scoppio oppure nelle celle a combustibile. La cosa importante è che questo ciclo è un ciclo chiuso e non produce sostanze dannose. Naturalmente la cosa non è semplicissima, si stan studiando tanti modi per procedere, ma volevo sottolineare che appunto quando si parla di economia basata sull’idrogeno prima l’idrogeno bisogna farselo, e questo sarebbe il modo migliore per farsi l’idrogeno. Quindi la chimica è il futuro anche da questo punto di vista dell’energia solare; è l’energia poi che serve, quindi i chimici pensano utilizzando l’energia solare e utilizzando sostanze magari di poco costo e diffuse dappertutto come son quelle nell’atmosfera e nelle acque, utilizzando delle sostanze speciali che i chimici sanno creare – fotosensibilizzatori e catalizzatori – sarà possibile produrre sostanze di alto pregio, non solo combustibili ma anche di altro tipo.
Vorrei terminare ricordando a tutti i ricercatori – in modo particolare a quelli più anziani e poi anche a me stesso naturalmente – che chi opera nel campo della scienza ha una grande responsabilità. Per spiegarmi meglio faccio riferimento a un esempio. Commentando quello che accadde agli inizi del secolo scorso, quando tutta la gente cominciava a leggere, ci fu uno storico inglese che disse: “L’istruzione ha prodotto un gran numero di persone capaci di leggere, ma incapaci di distinguere quello che merita di essere letto.”. Ecco, non vorrei che fra qualche tempo si dicesse che purtroppo – e forse si può anche già dire, purtroppo – nel campo della scienza l’istruzione scientifica ha prodotto un gran numero di persone capaci di lavorare nella scienza ma incapaci di distinguere quello che merita di essere fatto con la scienza. Naturalmente tutti sappiamo che la scienza deve essere usata per la pace e non per la guerra, per alleviare la povertà e non per mantenere i privilegi, per ridurre le diseguaglianze e anche per tener conto delle prossime generazioni. Lo sappiamo tutti, ma forse lo diciamo poco, non lo diciamo abbastanza, né a i nostri studenti né tanto meno alla gente, che da noi scienziati vorrebbe sentire pareri autorevoli e ricevere messaggi chiari. Forse è ora di cominciare a dirlo con più forza anche alla classe politica. Bisogna capire alla fine che dobbiamo vivere tutti su questo pianeta, su questa astronave Terra che abbiamo un po’ scassato negli ultimi decenni e che andrebbe riparata, e per ripararla abbian bisogno naturalmente di ricercatori motivati. Einstein diceva che la preoccupazione per l’uomo e per il suo destino deve sempre costituire il principale obiettivo di tutte le imprese scientifiche, e diceva “non dimenticatelo in mezzo ai vostri diagrammi e alle vostre equazioni”
Beh, questa frase secondo me echeggia molto bene una frase detta molto tempo prima da San Paolo: “Se conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla”. Grazie.