Pisa, ottobre 1968
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
La genetica delle piante: addomesticamento, miglioramento, genomica
Introduzione. L’occasione concessa allo scrivente con il Premio Galilei ha un importante significato onorifico. Ho ritenuto, per questo, di riassumere nelle Note 1 e 2 il mio curriculum scientifico e gli argomenti di ricerca affrontati in quasi sessanta anni di attività dedicata allo studio delle piante (specialmente di quelle di interesse agrario), attività più o meno direttamente rivolta alla loro genetica e miglioramento genetico, aspetti genomici inclusi. Nel celebrare la sessantesima edizione del Premio Galilei, la Fondazione dei Rotary Italiani intende riassumere in una pubblicazione i testi preparati da coloro che il premio hanno ottenuto; ho aderito all’iniziativa producendo anche un aggiornamento dei temi che furono al tempo (2012) trattati. Tra i variegati interessi scientifici che ho cercato di sviluppare, emergono i due temi che riassumo di seguito: Resistenza alle malattie e Origine delle piante agrarie.
Piante immuni dalle malattie da microrganismi. In agricoltura la riduzione del carico ambientale è correlata in modo diretto alla coltivazione di piante che resistono alle malattie e limitano il ricorso ai trattamenti chimici. Lo sviluppo di queste piante ha considerato una pluralità di strategie e particolarmente i geni R dominanti della famiglia NBS-LRR che, in tutti i vegetali, codifica per i recettori del segnale proveniente dal parassita. Il mio coinvolgimento nell’argomento necessita di una premessa. Quando si cercò di giustificare lo sviluppo di bombe nucleari ricordando a tutti che l’atomo poteva anche produrre cose benefiche, una ragione a favore riguardò l’uso delle radiazioni per indurre mutazioni favorevoli nelle piante agrarie. In preparazione di un libretto Quaderni di Biologia focalizzato sul Miglioramento delle piante agrarie via mutagenesi indotta (Gavazzi e Salamini, 1980), mi incuriosì constatare che le mutazioni per resistenza dell’orzo a tutte le razze di oidio (almeno 11 indipendenti) erano recessive e dovute ad alleli dello stesso gene Mlo. Ne scrissi nel libretto, ripromettendomi di considerare nel futuro questo gene. Attivo a Colonia in un Istituto Max Planck, decisi di attivare la ricerca sul gene Mlo con una mia phD e con un postdoc, Paul Schulze-Lefert: dopo il dottorato in biochimica in un altro dipartimento, questi mi chiese di poter lavorare da noi su questa strana classe di mutanti. Sono stati necessari 10 anni per clonare Mlo: nel 1997 due pubblicazioni riportarono finalmente la localizzazione di Mlo e il suo clonaggio (Hinze et al., 1991; Buschiges et al., 1997; Simons et al., 1997; Wolter et al., 1993). Studi successivi, condotti specialmente sotto la guida di Paul Schulze-Lefert, resero chiaro che Mlo era un gene della pianta necessario alla stessa per qualche ragione, ma che la proteina prodotta era anche utilizzata dal parassita il cui genoma non possedeva quella funzione necessaria per la virulenza. L’approccio basato sulla perdita di funzioni di suscettibilità della pianta sostenute dai geni S (Wang et al., 2018) è ora noto con l’acronimo LOS (Loss of susceptibility), una forma di resistenza ereditata in modo recessivo. L’immunità LOS conferisce una resistenza durevole. A conferma del ruolo futuro dei mutanti recessivi dei geni S nel controllo delle malattie delle piante coltivate, nella Tabella 2 di Zaidi et al. (2018) vengono elencati 19 geni S di 7 specie di interesse agrario, per i quali sono stati indotti, in un breve periodo temporale, mutanti recessivi con metodi di trasformazione genetica o di genome editing. Le resistenze sostenute da questi mutanti riguardano Oidio, Pseudomonas, Xanthomonas, Phytophtora, Virus vari, Colpo di fuoco batterico e altri patogeni. Sono stati isolati altri geni S diversi da Mlo, ma che comunque hanno alleli recessivi responsabili della resistenza. La generalizzazione di questi esperimenti e dei loro risultati ha permesso di sviluppare il concetto di immunità delle piante agrarie alle malattie, basata non più sui geni R (sempre scavalcati da mutazioni del parassita) ma sui geni S. Sono già disponibili, sull’argomento, molte reviews; inoltre, in tutti i genomi vegetali decodificati, i geni Mlo sono sempre presenti in un numero relativamente elevato di copie: il silenziamento in una specie di uno o più di questi geni risulta nella resistenza (il caso di vite e melo; è un esempio italiano; Malnoy et al., 2016; Pessina et al., 2016). È evidente il contributo del nuovo approccio alla sostenibilità della pratica agricola in termini di riduzione dell’uso di prodotti agrochimici contro i parassiti.
Tabella. Mutanti di geni S delle piante. Le citazioni aggiunte nell’ultima colonna della tabella sono citate per esteso in Pozzi e Salamini (2019).
Le resistenze recessive dei geni S sono associate a effetti pleoiotropici che riducono la fitness della pianta. Una strategia per risolvere questo problema è di utilizzare la variabilità presente nel germoplasma di una specie, associandola a sequenziamenti e fenotipizzazioni per resistenza ed effetto pleiotropico, con l’obiettivo di reperire alleli S deboli. Alternativamente, ci si può concentrare sulla individuazione precisa dei meccanismi molecolari della LOS alla ricerca di soppressori genetici o sull’analisi delle interazioni proteiche interessate. In senso applicativo è stata utilizzata, come è il caso dell’orzo, la selezione fenotipca contro gli effetti pleiotropici. In conclusione, il ricorso a condizioni di silenziamento di geni S ha aperto una nuova e sicura via alla produzione di piante immuni da malattie.
L’addomesticamento neolitico delle piante nell’Oriente Vicino. Quanto segue è ripreso e rielaborato da Salamini (2014). Circa 10.000 anni prima dell’inizio dell’agricoltura, nel Medio Oriente la raccolta sistematica a fini alimentari dei semi di piante selvatiche era già praticata: a Ohalo II, località a sud del corridoio palestinese, si raccoglievano ghiande, mandorle e semi dei progenitori selvatici del frumento monococco e dell’orzo. L’inizio dell’agricoltura del Vicino Oriente è riconducibile alla fine del Younger Dryas, un periodo di circa 1200 anni freddo e secco. Nell’area, l’addomesticamento dei cereali non è avvenuto prima di 11.000 anni fa, epoca corrispondente al periodo Neolitico pre-ceramico A (PPNA). Nel Neolitico pre-ceramico B (PPNB), nel sud-est dell’Anatolia compaiono forme addomesticate. L’orzo coltivato, addomesticato nella valle del Giordano (Badr et al., 2002), si ritrova come tale a metà del PPNB. Le piante agrarie addomesticate nel Medio Oriente sono frumento diploide (monococco), orzo, frumento tetraploide (dicocco), lenticchia, pisello, cece, veccia amara, lino, segale. Tipizzando il DNA di un gruppo di linee selvatiche di monococco, a noi fu possibile notare che le linee con il DNA più simile a quello delle varietà coltivate provenivano dalle alture del Karaca Dagˇ in Turchia, poste tra i corsi superiori del Tigri e dell’Eufrate, nella parte centrale della cosiddetta Mezzaluna Fertile (Heun et al., 1997). Il monococco è probabilmente il primo cereale addomesticato, quindi la sua patria poteva aver assistito all’emergere dell’agricoltura. Dalla stessa regione della Turchia sud-orientale provengono i progenitori selvatici dei frumenti tetraploidi coltivati: grano duro e farro (Salamini et al., 2002; Ozkan et al., 2002; 2005). Negli strati scavati corrispondenti al Neolitico preceramico B di villaggi agricoli di questa regione, come Çafer Höyük, Çayönü e Nevali Çori, sono stati ritrovati i semi carbonizzati dei primi frumenti addomesticati. Notando che il massiccio del Karaca Dagˇ è incluso nella distribuzione geografica dei progenitori selvatici di diverse piante coltivate, nel 2000, su «Science», un gruppo di scienziati israeliani (Lev-Yadun, 2000) concluse che in questa regione (core area) si era sviluppata l’innovazione agricola che negli anni sessanta del secolo scorso l’archeologo australiano Vere Gordon Childe per la prima volta definì «rivoluzione neolitica»: invenzione dell’agricoltura, stile di vita sedentario, stratificazione sociale, riti civili e sacerdotali. Childe (1951) si sbagliava, però, quando considerava l’alto Tigri ed Eufrate una neoliticizzazione secondaria. Klaus Schmidt (2011) segnala che negli stessi anni Robert e Linda Braidwood suggerivano che la core area di sviluppo agricolo era da individuare nelle colline pedemontane delle catene montuose del Tauro e degli Zagros (Zender, 2011). Successivi studi sulla geografia dell’addomesticamento del monococco, basati sulla sequenza del DNA di 18 geni (Kilian et al., 2007), confermarono che il progenitore selvatico di questa specie (razza β di Triticum boeoticum) proviene dalle alture del Karaca Dag˘, al centro della core area; la razza β di questa specie selvatica è probabilmente stata coltivata tal quale, dando poi origine a domesticazioni indipendenti. Questo «modello di dispersione specifica» deriva da dati molecolari attestanti che la variabilità genetica nel gruppo di genotipi addomesticati è simile a quella dei selvatici, una constatazione che suggerisce l’estrazione successiva e ripetuta dalla razza β di varietà da coltivare. Anche grano duro e spelta sono derivati dalle popolazioni selvatiche di Triticum dicoccoides che ancora si trovano attorno alla catena montuosa del Karaca Dag˘. Le forme coltivate di frumento tetraploide potrebbero aver avuto, nel corso della domesticazione o dopo, ibridazioni con genotipi selvatici provenienti dalle montagne turche del Kartal-Kara Dag˘ e dall’Iran-Iraq. L’addomesticamento dell’orzo è avvenuto nel Levante del sud (Badr et al., 2000), come peraltro sostenuto dalla lunga storia d’uso dell’orzo selvatico fino dall’epipaleolitico del Vicino Oriente. La figura che segue riassume quanto presentato relativamente all’addomesticamento delle piante agrarie e degli animali nel Vicino Oriente.
Altre linee di ricerca sviluppate dallo scrivente sono elencate nella Nota 2 che riporta anche le relative indicazioni bibliografiche.
Nota 1. CV. Nato nel marzo 1939. Laureato nel 1963 in Scienze Agrarie. Libero docente in Genetica Vegetale nel 1971. Dal 1966 al 1975 Ricercatore negli Istituti del Ministero dell’Agricoltura. Dal 1969 al 1970 Ricercatore associato, Purdue University, USA. Dal 1971 al 1974 Professore di Botanica all’Università di Piacenza. Nel 1977 Ricercatore, Brookeven National Laboratory, USA. Dal 1985 al 2004 Direttore, Dipartimento di Miglioramento Genetico e Fisiologia delle Piante, Colonia, Max-Planck-Institut für Züchtungsforschung. Nello stesso Istituto svolge la funzione di Direttore generale per due periodi di 3 anni. Dal 1990 a tuttora Professore onorario, Università di Colonia. Dal 1997 al 2009 (anno del congedo) Professore ordinario, Università di Potenza, Verona, Milano. Nel 2004 riceve la Laurea Honoris Causa dall’Università di Bologna. È stato Direttore di Istituti italiani e stranieri e Coordinatore di programmi di ricerca nazionali. Dal 1994 al 1996 ha svolto la funzione di Presidente della Società Italiana di Genetica Agraria. Ha accettato incarichi di consulenza scientifica in Italia, Germania, Francia ed è stato membro di Comitati scientifici presso la Fondazione Parco Tecnologico Padano, Lodi, CIVR, comitato Scienze agrarie e Scienze veterinarie e Scienze e Tecnologie degli alimenti, Expo 2015, Milano e Coordinatore del Comitato MIUR di selezione presidenti e membri del CDA degli Enti Nazionali di Ricerca. È membro affiliato alla Max-Planck-Gesellschaft, all’Accademia Nazionale dei Lincei, all’EMBO, all’Accademia Europaea, all’Accademia dei Georgofili e all’Accademia Nazionale di Agricoltura. La sua attività scientifica è stata riconosciuta con la Medaglia dei XL, il premio alla carriera della Fondazione Invernizzi, la commemorazione delle riviste Maidica e Plant Breeding Reviews, i premi Scanno (alimentazione) e Galileo Galilei. Ha costituito 6 novità vegetali e ottenuto 10 brevetti biotecnologici; le pubblicazioni sono oltre 600 e 10 le presenze in Comitati editoriali.
Nota 2. Ricerche svolte e relativa bibliografia. I mutanti glossy di mais (seguito della tesi di laurea): Salamini F., C. Lorenzoni, 1970. Genetical analysis of glossy mutants of maize. III. Intracistron recombination and high negative interference at the gl1 locus. Mol. Gen. Genet. 105:225-232. Bianchi G., P. Avato, F. Salamini, 1978. Glossy mutants of maize. VIII. Accumulation of fatty aldehydes in surface waxes of gl5 maize seedlings. Biochemical Genetics 16:1015-1021. Carboidrati nel mais: Tsai, C.Y., F. Salamini, O.E. Nelson, 1970. Enzymes of carbohydrate metabolism in the developing endosperm of maize. Plant Physiol. 46:299-306. Gentinetta, E., M. Zambello, F. Salamini, 1979. Free sugars in developing maize grain. Cereal Chem. 56:81-83.Le orticole a Montanaso: Baldi G., F. Salamini, 1973. Variability of essential amino acid content in seeds of 22 Phaseolus species. Theor. Appl. Genet. 43:75-78. Soressi G.P., E. Gentinetta, M. Odoardi, F. Salamini, 1974. 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