Pisa, ottobre 2009
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
Magnifico Rettore, signor Sindaco, Presidente e Segretario della Giuria, Governatori e Presidenti del Rotary, colleghi e amici, signore e signori. Innanzi tutto vorrei esprimere la mia profonda gratitudine alla Fondazione, alla Giuria, e ai Rotary Club italiani per l’attribuzione di questo prestigioso premio. Da umile ingegnere, non riesco a nascondere un senso di imbarazzo e inadeguatezza nel ricevere un premio intitolato a Galileo, un premio intitolato alla scienza. Mi fa tuttavia particolarmente piacere il costatare che la Fondazione abbia annoverato tra le discipline meritevoli di considerazione anche le Scienze di Ingegneria e – ovviamente – che abbia, tra moltissimi candidati certamente altrettanto meritevoli, scelto la mia modesta persona. Come le altre scienze, anche l’Ingegneria ha avuto ed ha, tra i suoi fini, il contributo all’avanzamento del benessere dell’uomo, ed è certamente a questo fine che molti studiosi di Ingegneria hanno dedicato e dedicano la loro attività accademica e professionale.
Negli ultimi 50 anni l’Ingegneria ha subito molte trasformazioni e, soprattutto, ha generato moltissime specializzazioni. Basti pensare al caso della cosiddetta Ingegneria Industriale degli anni cinquanta, nell’ambito della quale si è sviluppata l’Ingegneria Elettrotecnica, nell’ambito della quale si è sviluppata a sua volta l’Ingegneria Elettronica, nell’ambito della quale si è sviluppata a sua volta l’Ingegneria delle Comunicazioni, ecc. Oggi vorrei parlarvi in particolare – come peraltro è naturale – di quel settore dell’Ingegneria nel quale mi sono andato specializzando, conosciuto come Automatica o Controllo Automatico. Si tratta, certamente, di una specialità che potremmo chiamare “di nicchia” e come tale non sufficientemente nota a un vasto pubblico (ritornerò più avanti su questo punto). Ma non per questo meno rilevante rispetto alla missione, che abbiamo richiamato, di progresso per il benessere dell’uomo. La prima cosa che mi sento di dover dare, in questo contesto, è una definizione semplice e chiara di cosa si intenda per Ingegneria Automatica. La cosa non è immediata, anche per la sussistenza di varie terminologie alternative, usate a volte come sinonimi ma a volte con significati non equivalenti. Termini usati frequentemente per indicare la disciplina in questione sono, accanto ad Automatica, quello di Controlli Automatici (nel quale la parola controllo deriva da una banale traslitterazione dell’inglese “control”, usata piuttosto nel significato di “comando”), quello di Automazione (anche se la terminologia in questione, introdotta negli anni cinquanta, era originariamente concepita in senso diverso, come fusione delle parole “automa-tic produc-tion”) o quello di Cibernetica (termine introdotto anch’esso negli anni cinquanta da Norbert Wiener, per indicare in generale il “governo”, automatico, delle macchine). Rimaniamo tuttavia con il termine Automatica, che tra l’altro è il titolo della rivista più prestigiosa del settore. Per spiegare cosa sia l’Automatica, e in particolare per fare anche un breve accenno agli studi che ho svolto nella mia carriera, ho scelto di illustrarne lo sviluppo storico. Adottando un punto di partenza che spero possa essere apprezzato in un contesto più ampio di quello della sola Ingegneria, vorrei definire come Automatica quella disciplina che studia tutti quei processi, naturali o artificiali, il cui funzionamento è governato dal principio della retroazione (uso qui la versione italiana del più comune termine inglese “feedback”). La retroazione non è un’invenzione degli Ingegneri, ma piuttosto un semplice principio che governa un gran numero di processi di regolazione presenti in natura. Il principio della retroazione governa la crescita degli organismi viventi e regola un’innumerevole quantità di variabili che rendono possibile la vita stessa: la temperatura del corpo, la pressione del sangue, la concentrazione delle cellule, ecc. Il principio della retroazione governa anche i meccanismi sui quali si basa l’interazione degli organismi viventi con ambienti inanimati: l’equilibrio, il moto, il coordinamento visivo, ecc. Gli esseri umani hanno sempre copiato la natura nel progetto delle loro invenzioni: la retroazione non fa eccezione. L’introduzione del concetto di retroazione nel progetto di dispositivi automatici da parte dall’uomo si fa tradizionalmente risalire al secolo d’oro della civiltà ellenistica, il terzo secolo avanti Cristo. Lo studioso Ktesibios, attivo in Alessadria tra il 280 e 240 circa a.C. e il cui lavoro è stato a noi trasmesso soltanto attraverso la descrizione fattane da Vitruvio nel suo de Architectura, viene accreditato come l’inventore del primo dispositivo a retroazione. Ktesibios usò la retroazione nel progetto di un orologio ad acqua. Dall’antichità sino all’avvento dei cosiddetti orologi digitali, un criterio semplice per la misura del tempo è sempre stato quello di misurare lo spostamento compiuto da un oggetto che si muova a velocità costante. Nell’antichità classica, l’oggetto in questione era spesso un galleggiante immerso in un recipiente cilindrico. Il problema di Ktesibios era quello di garantire un riempimento a flusso costante. Il risultato fu raggiunto mediante un dispositivo a retroazione che manteneva costante il livello d’acqua in un serbatoio ausiliario di alimentazione, per mezzo di una valvola a forma di cono, che svolgeva il duplice ruolo di misurare il livello dell’acqua e di regolarne in conseguenza l’afflusso. Qualcosa di abbastanza vicino ai moderni galleggianti nei nostri impianti domestici. L’idea di usare la retroazione per moderare la velocità di corpi in rotazione ha portato, verso alla fine del diciottesimo secolo, al progetto del cosiddetto “governatore centrifugo” (uso la terminologia governatore perché mi sembra la più vicina a quella dell’originale inglese “governor”). Nel 1787 Thomas Mead brevettò un dispositivo di questo genere per la regolazione del moto rotativo di un mulino a vento. In questo dispositivo, la tela delle pale del mulino viene svolta o riavvolta in modo automatico, attraverso un ingegnoso meccanismo di leve, a seconda che le masse rotanti del regolatore centrifugo si avvicinino l’asse di rotazione o se ne allontanino. Se la velocità tende a diminuire, le masse si avvicinano e il riequilibrio avviene svolgendo più tela; se la velocità aumenta, le masse si allontanano e il riequilibrio avviene riavvolgendo la tela. Lo stesso principio venne applicato solo due anni più tardi da M. Boulton e J. Watt, per il comando della valvola di accesso del vapore nella neonata macchina a vapore, evento questo che segnò l’inizio della prima rivoluzione industriale. Il dispositivo in questione venne chiamato “governatore” o “regolatore di Watt” anche se, come abbiamo visto, la paternità dovrebbe essere attribuita a T. Mead. Il regolatore in questione utilizza la semplice idea della cosiddetta retroazione proporzionale (l’azione di comando esercitata è proporzionale al cosiddetto errore rilevato, in questo caso la differenza tra la velocità desiderata e quella effettiva). Come tale, tuttavia, non garantisce un errore nullo in condizioni di equilibrio. In realtà, il regolatore si limita ad attenuare (moderare era il termine usato originariamente) l’effetto di perturbazioni. Per vedere un regolatore che garantisca errore nullo in condizioni di equilibrio bisogna attendere la seconda metà del diciannovesimo secolo, che vede l’introduzione del cosiddetto controllo integrale per compensare perturbazioni costanti. W. von Siemens, in questo periodo, brevettò un regolatore basato sulla cosiddetta azione integrale, per la prima volta deliberatamente introdotta in un dispositivo automatico e ottenuta mediante un integratore meccanico a ruota e cilindro. Negli stessi anni viene anche pubblicato il primo rigoroso studio formale della stabilità del regolatore di Watt, il famoso saggio “On governors” di J.C. Maxwell del 1868. Questo studio si può considerare come il precursore di tutta la cosiddetta Teoria del Controllo, la disciplina nella quale mi sono specializzato. E’ curioso osservare come sia stato necessario attendere quasi 90 anni tra la nascita del regolatore di Watt e l’analisi rigorosa del suo funzionamento. Lo stesso principio di retroazione proporzionale e integrale dette luogo, al passaggio del secolo, ai primi dispositivi per la guida automatica delle navi, e fornì ai fratelli Wright la possibilità di stabilizzare il volo di macchine più pesanti dell’aria. Lo sviluppo dei relativi sensori, ingredienti essenziali in ogni sistema di controllo automatico, dette luogo alla creazione delle prime compagnie industriali con interesse specifico nel settore dell’Automatica. I primi piloti automatici per navi vennero sperimentati negli anni venti, soprattutto a seguito degli studi dell’ingegnere russo N. Minorsky, anche se con terribile diffidenza da parte di equipaggi e comandanti. La percezione che il controllo a retroazione e, in un contesto più generale, l’Automatica stavano prendendo la forma di una disciplina autonoma nell’ambito dell’Ingegneria si manifestò subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, durante la quale le applicazioni alla movimentazione dei radar e dei pezzi di artiglieria avevano conosciuto uno sviluppo notevole e determinante. E’ del 1948 la pubblicazione del primo “libro di testo” dedicato a servomeccanismi e controlli automatici. Nei primi anni cinquanta, i principi di questa neonata disciplina divennero rapidamente un ingrediente base nella maggior parte dei curricula in Ingegneria Industriale. All’inizio degli anni sessanta, due nuove forze trainanti provocarono un enorme balzo in avanti: la corsa allo spazio e l’avvento dei calcolatori digitali. I principi del controllo ottimo, sviluppati da Pontryagin in Unione Sovietica da Bellman negli Stati Uniti, si rivelarono ingredienti indispensabili nella soluzione del problema dell’atterraggio morbido sulla luna e nella realizzazione di voli spaziali con esseri umani a bordo. Il controllo integrato mediante elaboratori digitali, introdotto nel 1959 dalla Texaco in un processo di raffinazione, per la regolazione e il coordinamento di livelli e riferimenti, divenne rapidamente la tecnica standard per il controllo di processi industriali. Questi anni videro anche la nascita della Federazione Internazionale del Controllo Automatico (IFAC), una Federazione multinazionale di società scientifiche e professionali, ciascuna delle quale rappresenta, nella propria nazione, valori e interessi di studiosi e professionisti attivi nel campo dell’Automatica e nelle discipline scientifiche collegate. Questa Federazione, costituitasi in Heidelberg nel 1956, fu un precursore dello spirito dei successivi cosiddetti accordi di Helsinki di cooperazione scientifica e tecnica tra Est e Ovest firmati nel 1973. Essa rappresentò la prima opportunità, dopo la seconda guerra mondiale, per scienziati e ingegneri, appartenenti a due sfere altrimenti a confronto, di condividere conoscenze scientifiche e tecniche complementari: in particolare le conoscenze sviluppate in Unione Sovietica relativamente alla guida automatica di veicoli spaziali e le conoscenze sviluppate negli Stati Uniti relativamente all’elaborazione elettronica dei dati. Il primo Congresso mondiale della Federazione si tenne a Mosca nel 1960. La Federazione comprende oggi 48 membri-nazionali, organizza una media di 60 Conferenze scientifiche con periodicità triennale, tra i quali un congresso mondiale (il prossimo dei quali, in riconoscimento del ruolo svolto dall’Italia, si terrà a Milano nel 2011), e pubblica alcune tra le riviste scientifiche più prestigiose del settore. Da allora, quattro decadi di progresso costante sono seguite. L’automazione è oggi un ingrediente essenziale nell’industria manifatturiera, petrolchimica, farmaceutica, cartacea, mineraria, metallurgica, nella conversione e distribuzione dell’energia. Il controllo a retroazione è indispensabile e pervasivo in autovetture, navi e aerei. Il controllo a retroazione è anche un elemento indispensabile di numerosi strumenti scientifici, così come di prodotti elettronici di largo consumo, quali i lettori di dischi compatti o DVD. In questo dispositivo, il raggio laser destinato alla lettura viene messo automaticamente a fuoco e insegue automaticamente la traccia incisa con una precisione dell’ordine del micron. Malgrado questo ruolo così pervasivo dell’Automatica in ogni aspetto della tecnologia, il suo valore specifico non viene sempre percepito come tale e l’Automatica viene spesso confusa con altre discipline dell’ingegneria, tipicamente l’Informatica (che in realtà è altra cosa). L’avvento della Robotica (che a me piace considerare parte dell’Automatica), alla fine degli anni settanta, fa in un certo senso eccezione, perché l’impatto della Robotica sull’industria manifatturiera moderna è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, anche in questo caso c’è una diffusa tendenza a considerare la Robotica e il relativo impatto sull’industria come l’implementazione di principi dell’Informatica piuttosto che dei principi dell’Automatica e del controllo a retroazione, come invece è in realtà. Un autorevole studioso ha recentemente parlato, a proposito di Automatica, come di una “tecnologia nascosta”: una tecnologia diffusa, presente in tutte le industrie, in tutti mezzi di trasporto e in molti apparati domestici, ma quasi sconosciuta al grande pubblico. In questi ultimi anni, tuttavia, l’Automatica ha conosciuto una terza fase di notevole espansione i cui effetti di questo tendono ad essere più visibili. I progressi nell’industria automobilistica in questa ultima decade sono stati resi possibili soltanto grazie alle idee dell’Automatica. I dispositivi di controllo a retroazione pervadono le nostre automobili: guida, frenata, stabilizzazione di assetto, stabilizzazione del movimento, combustione ed emissione sono tutte controllate a retroazione. L’avvento massiccio dell’Automatica ha comportato cambiamenti radicali che hanno rivoluzionato il modo in cui le automobili sono progettate e mantenute. Tutti abbiamo imparato a richiedere la presenza di sistemi automatici quali l’ABS o il più recente ESP (“Electronic Stability Program”), un nuovo sistema per la sicurezza della guida attraverso percorsi ghiacciati o bagnati. La chiave del funzionamento dell’ESP è un sistema di controllo a retroazione che elabora i dati forniti da molteplici sensori. Vengono rilevati la posizione dello sterzo (che rappresenta l’intenzione di guida del conducente), il moto di rotazione del veicolo attorno al suo asse verticale, l’accelerazione laterale e la velocità del veicolo. Il sistema di controllo determina le eventuali azioni di freno e/o accelerazione e sterzata necessarie. Attualmente, in tutta l’Unione Europea, il 40% delle nuove autovetture sono equipaggiate con un sistema ESP (il 93% in Svezia nel 2007). Un’altra delle applicazioni correnti in campo automobilistico riguarda il controllo della combustione, ai fini della riduzione delle emissioni e di un maggiore risparmio energetico. Questo viene realizzato dalla cosiddetta Unità di Controllo del Motore (ECU), la quale controlla la quantità di combustibile, i tempi di accensione e altri parametri, a partire da informazioni fornite da sensori di pressione e temperatura dell’aria, della percentuale di ossigeno, della posizione dell’acceleratore. Applicazioni attualmente a livello sperimentale, che in un futuro prossimo si prevede diverranno comuni, riguardano la sicurezza della guida in relazione a ostacoli esterni e altri veicoli, quali ad esempio il mantenimento automatico della corsia in autostrada o il rallentamento automatico in caso di diminuzione della velocità del veicolo che precede. Negli seconda metà degli anni novanta, lo stato della California ha sperimentato con successo (progetto PATH) metodi automatici per la guida “a plotoni” (gruppi di 10-20 veicoli che viaggiano in autostrada alla stessa velocità, a distanza ravvicinata controllata automaticamente) ai fini sia di una più efficiente occupazione della sede stradale sia di una maggiore sicurezza. I metodi in questione richiedono che il conducente affidi completa autorità di guida al sistema automatico: come tale, occorrerà del tempo prima che vengano accettati. I robot industriali hanno raggiunto uno stadio di piena maturità e nuove generazioni di robot che possiamo chiamare di servizio si affacciano all’orizzonte. Macchine semoventi a quattro gambe o addirittura a due gambe capaci di camminare attraverso terreni accidentati sono oramai una realtà. Aerei in grado di volo autonomo sono operativi da qualche tempo e si affacciano all’orizzonte nuove generazioni di oggetti autonomi volanti che imitano il volo ad ala battente (sono stati chiamati “robotfly”: il sogno di Leonardo si avvera). Diciamo, come piccola nota autobiografica, che una buona parte della mia attività di ricerca è stata orientata allo studio teorico e allo sviluppo di metodi di progetto per problemi di controllo automatico di questo genere. Robot di servizio sono in grado di interagire autonomamente con ambienti incerti e adattare la loro missione a compiti in continua evoluzione, di esplorare ambienti ostili o pericolosi, di eseguire compiti che sarebbero altrimenti pericolosi o impossibili agli esseri umani. Robot di servizio potranno assistere anziani o persone diversamente abili e sono prossimi a eseguire compiti di routine nella casa. La robotica chirurgica è una realtà: micro-robot minimamente invasivi sono capaci di muoversi nel corpo umano e di raggiungere aree non direttamente accessibili con tecniche standard. Robot con interfaccia cosiddetti “aptici”, capaci di restituire una retroazione di forza a operatori umani, hanno reso possibile la telechirurgia. Le nuove frontiere dell’automazione abbracciano applicazioni all’agricoltura, alla generazione di energia da fonti rinnovabili, al riciclo dei materiali, al trattamento dei residui tossici, alla protezione dell’ambiente, al trasporto sicuro e affidabile. All’alba del ventesimo secolo, la visione deterministica della meccanica classica che aveva dominato il diciannovesimo secolo venne scossa dall’avvento della fisica relativistica. Oggi, dopo un secolo dominato dall’espansione della tecnologia e, in una certa misura, dalla convinzione che nessun obiettivo tecnologico fosse impossibile, analoghe incertezze si ripetono. La chiara percezione che le risorse sono limitate, l’incertezza dei mercati finanziari, l’enorme divario di sviluppo tra nazioni, contribuiscono tutti alla consapevolezza che il modello si sviluppo seguito sino a oggi nel mondo cambierà. Il pensiero e le convinzioni di oggi potranno non essere le stesse di domani. Tutti questi cambiamenti tuttavia possono fornire una nuova, grande opportunità all’Automatica, vista come un complesso di tecnologie che garantiscono affidabilità, flessibilità, sicurezza, per gli esseri umani e per l’ambiente. In un mondo in di risorse limitate, l’Automatica può svolgere un ruolo determinante nel rispondere alla sfida di uno sviluppo sostenibile. Spero di non avervi annoiato con queste considerazioni. Vorrei concludere con diverse espressioni di ringraziamento. Innanzi tutto alla Fondazione e alla Giuria per l’enorme onore che mi è stato dimostrato con il conferimento del premio Galileo Galilei e a tutti presenti per aver pazientemente ascoltato queste parole. Ma anche all’ambiente accademico nel quale sono mi sono formato e che ha reso possibile i miei studi. Una delle principali fortune, infatti, che ho avuto nella mia carriera è stata quella di una solida formazione universitaria nelle scienze di base, matematica e fisica, che ha costituito la roccia su cui ho potuto costruire le mie ricerche Ancora grazie per questo onore.