Pisa, ottobre 2008
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
Sono profondamente onorato per il Premio Internazionale Galileo Galilei del Rotary Club Italiano, che opera sotto gli auspici del Rotary Internazionale e dell’Università di Pisa. Mi onora ancora di più il fatto di essere in compagnia di Paul Kristeller, Frances Yates, Karl-Otto Apel, e Donald Verene, i miei illustri predecessori in questa categoria. Ma soprattutto sono onorato dalla vostra presenza a questa splendida cerimonia. Tutti gli studiosi devoti lavorano per anni, persino decenni, e nelle dottrine umanistiche spesso in solitudine, senza sapere se il loro entusiasmo verrà condiviso da pochi, il pubblico ideale, Milton direbbe, sebbene limitato. Dunque sono umilmente lieto di essere riconosciuto oggi per il mio contributo anglosassone alla comprensione di uno dei più convincenti, fantasiosi ed influenti pensatori d’Italia. Ho sentito per la prima volta il nome di Ficino dal mio tutore inglese al Collegio di Wadham, ad Oxford, ma la mia lunga relazione d’amore con il suo Platonismo iniziò diversi anni dopo, quando stavo studiando ad Ann Arbor, Michigan. Mi sono imbattuto per caso su una copia della Filosofia di Marsilio Ficino di Kristeller nel Gennaio 1969, l ‘anno degli omicidi di Manson, del circo volante di Monty Python, della passeggiata sulla Luna. Ho trovato il volume nel corridoio di una libreria, dopo essere stato spinto contro un porta da un nudista del campus. Il nudo Michelangeliano e Kristeller (il quale è sempre stato incredibilmente generoso con me), sono pertanto responsabili per la mia tesi, il mio lavoro a Ucla, il sostentamento della mia famiglia nel Sud della California, e per il fatto di essere da voi oggi onorato.? Il primo mistero è perché fui così attratto da Ficino in primo luogo e in particolare dal suo lungo commento sul Filebo. Certo, avevo bisogno di un soggetto per la mia tesi di dottorato e volevo anche trattare di un argomento originale ed innovativo. Per di più, sapevo che il dialogo era complesso e di interesse sin dall’ultimo periodo di Platone; di grande interesse non solo da un punto di vista metafisico ma anche etico, in quanto si concentrava sulla dialettica platonica ed esplorava, tra le altre cose, i principi fondamentali del limitato e dell’illimitato. Lavorare sul lungo, benché incompleto, commento sul Filebo di Ficino, tuttavia era per me non solo terreno nuovo ma terra incognita (soprattutto perché nessuno vi aveva lavorato prima e non esisteva alcuna edizione moderna). Presto scoprii quanto diversamente Ficino interpretasse il dialogo di Platone rispetto a noi; quanto riccamente e sottilmente estraesse dai suoi discorsi i postulati fondamentali della metafisica plotiniana, una metafisica compatibile con il Platonismo cristiano che riteneva fosse elaborato nel Vangelo e nelle lettere di San Giovanni e di San Paolo, ed anche, credeva, nei trattati mistici di Dionisio che fu convertito da San Paolo nell’Areopago ateniense (sebbene questi trattati fossero stati scritti da un seguace di Proclo alla fine del quinto secolo). Il secondo e più grande mistero non è tanto il fatto che fossi inizialmente attratto da Ficino, quanto il fatto che i suoi scritti, in tutta la loro profondità, ricchezza e diffusione, abbiano sostenuto e appagato le mie energie letterarie e speculative per quasi quarant’anni, provvedendomi con una ricchezza, infinita e quasi imbarazzante, di materiale filosofico, teosofico, mitologico e teologico. Forse aveva qualcosa a che fare con il fatto che, a differenza della maggior parte dei letterati, Ficino è stato capace di esercitare un’influenza formativa sia durante il suo periodo che per i due secoli successivi grazie al fascino intellettuale e alla novità, al limite dell’ortodossia, quasi eresia, della sua ripresa del Neoplatonismo e alla natura non familiare delle sue osservazioni sul ruolo complementare della religione e della filosofia per il benessere della vita spirituale ed intellettuale. Il suo ecumenismo, il suo piacere tratto dalla nozione che l’adorazione divina è naturale e inerentemente varia, e i suoi diversi interessi, lo schierano oggi con l’ala liberale dei teologi Cristiani.? Altrettanto importante, tuttavia, è il fatto che lui sia stato il primo mago del Rinascimento dedito alla nozione del Mondo-Spirito e del Mondo-Anima, visto che oltre alla metafisica, all’etica e alla psicologia, il suo interesse abbracciava la mitologia (ovvero la teologia poetica), l’astrologia, la magia, i numeri magici e figurali, la demonologia e l’occulto, la musica (soprattutto le armoniche) e la terapia musicale – interessi che aveva trovato anche in Platone e quindi vedeva come aspetti autentici della tradizione platonica. Sebbene la profondità della sua comprensione tecnica dell’ultimo Platonismo sia stata raramente uguagliata – i suoi lavori di traduzione e di interpretazione sono testimoni di uno studio illuminato e devoto – le sue originali speculazioni filosofiche, teologiche e magiche costituiscono uno dei grandi e durevoli monumenti del pensiero del Rinascimento e sono state enormemente e variamente influenti.? Per il Quattrocento, il cammino verso la gnosi, sebbene perfezionato da Platone, aveva un’origine lontana, e Ficino è stato anche uno dei primi sostenitori dell’esistenza di una saggezza segreta, esoterica e perenne che, nelle vesti della rivelazione platonica, precedette e preparò la via per il Cristianesimo. In quanto tale, era paragonabile alla saggezza di Mosè trasmessa agli Ebrei dai Pentateuci, dai segreti della tradizione orale di Mosè più tardi iscritta nei libri della Cabala, e dalle rivelazioni fatte dai successori di Mosè, i salmisti ed i profeti. Per ragioni simboliche e numerologiche, Ficino propose l’idea che Platone fosse il sesto nella successione di gentili saggi, essendo sei la somma dei suoi interi e il prodotto dei suoi fattori e pertanto, secondo la tradizione aritmetica, un numero perfetto. Platone era preceduto da Orfeo, il quale era conosciuto dal Fiorentino grazie ai molti frammenti citati sia nelle opere di Platone che negli scritti dei suoi commentatori, e grazie agli ottantasette inni orfici ora ritenuti il prodotto di un’era successiva. Sin dall’inizio Ficino riteneva questi inni testi sacri ma pericolosi: da un lato, infatti, rappresentavano Orfeo come il Davide dei gentili, dall’altro, nella lista degli attributi delle divinità menzionate, gli inni sembravano invocare anche poteri demoniaci. Ficino era lusingato dal fatto di essere lui stesso considerato da vari amici poeti un altro Orfeo, e la figura del poeta tracio era dipinta su una lira orfeica che egli suonava durante le sue recite degli inni platonici – apparentemente con grande effetto, visto che gli spettatori lo descrivono sia come estasiato che estasiante. All’inizio della sua carriera come saggio insegnante della famiglia dei Medici, Ficino sembra, in realtà, aver incitato la ripresa neo-orfica. L’incantazione orfica divenne il perfetto mezzo di espressione per la filosofia e la chiave per la sua concezione sia della poesia platonica o platonizzante, sia in generale di immagini musicali e modelli.? Tuttavia Orfeo era subordinato ai due più antichi saggi: all’egiziano Ermete Trismegisto e in modo ancor più importante a Zoroastro, la cui supremazia era evidenziata secondo Ficino dalla storia biblica dell’Epifania e dei re Magi. I tre saggi caldei, provenienti dall’Est seguendo una stella, erano i seguaci di Zoroastro (il cui nome contiene la parola greca ‘”stella” e che si presume fosse il fondatore della astronomia/astrologia e della magia associata ad esse). Pertanto segnarono l’arrivo dell’antica saggezza alla culla di un nuovo filosofo-re-mago: il nuovo Zoroastro. Poiché erano partiti dalla stessa terra lontana da cui era partito Abramo, essi simboleggiavano, ancora di più, la riunione di due antichi rami di saggezza, gli Ebrei e i Zoroastriani; una saggezza derivata dai figli di Noè (visto che l’arca si era fermata a quanto pare in una provincia della Persia – la Persia, la Caldea e la Babilonia erano spesso confuse). Poiché Zoroastro era anche secondo Ficino lo scopritore della scrittura, avendo usato le stelle e le costellazioni come le lettere del suo alfabeto sacro, egli era in un certo modo il saggio che aveva trascritto la saggezza dei cieli: colui che aveva portato le stelle nel linguaggio degli uomini e insegnato agli uomini a scrivere con le stelle. Pertanto i re Magi erano secondo lui astronomi e praticanti di una magia basata sulle stelle, la cui conoscenza delle costellazioni avevo permesso loro di trovare il bambino Gesù e di adorarlo come il Zoroastriano, il supremo custode platonico in Betlemme. In sintesi, Zoroastro, in quanto l’originale priscus theologus, era il fondatore dell’antica, gentile saggezza cui Ficino stesso era dedito al fine di riconciliarla con la teologia di Abramo, perfezionata nel Cristianesimo. Ficino era anche familiare con un numero di testi antichi, medici, farmacologici e medici-astrologici, alcuni dei quali di origine arabica, che avevano avuto un ruolo fondamentale nella sua preparazione intellettuale come dottore – un ruolo che non abbandonò mai, poiché si considerava, nel senso socratico, un dottore di anime, un medico persino per i Medici. Il suo libro De vita del 1489 è un trattato in tre libri su controllo, dieta, astinenza, unguenti, polveri benefiche e odori, aromi, esercizi psicosomatici, meditazione e tecniche per sollevare l’umore, ed armonie astrologiche e demonologiche. Il terzo libro in particolare, intitolato De vita coelitus comparanda (“Sul porre la propria vita in armonia con i cieli”), è una ricca e complessa esplorazione della malinconia letteraria, della medicina olistica e della psichiatria. Fa continui riferimenti ad influenze zodiacali e planetarie, ad opposizioni e congiunzioni, ad ascensioni astrologiche, alla teoria delle simpatie universali, e alla supposizione che determinate persone nate sotto lo stesso pianeta e sotto le stesse configurazioni astrali siano gemelli astrali. In aggiunta, seguendo Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, Ficino parla dei poteri terapeutici dei talismani e degli amuleti quando propriamente costruiti ed inscritti, attingendo sia da nozioni scolastiche della forma acquisita che da nozioni galeniche e successivamente medioevali degli spiriti vitali, vegetali e animali che possono essere raffinati, come lo zucchero, in spirito puro. La salute dello spirito è il fine di tutte le varie terapie connesse, visto che il corpo può star bene, ovvero può essere perfettamente temprato, solo se lo spirito è sano. Ficino vede lo spirito sia come l’immagine dell’anima (come la coda di una meteora) sia come un involucro, un veicolo o corpo etereo che unisce l’anima al corpo, l’intellettuale al corporeo: lo spirito infatti funge da carrozza dell’anima, prima come il corpo in cui tolleriamo i purificanti fuochi del Purgatorio, e poi come il corpo glorificato della nostra risurrezione e dell’entrata in Paradiso. A governare lo spirito, gli amuleti, i talismani, gli unguenti e le sostanze simili alle droghe sono le influenze e i poteri astrologici, sempre in cambiamento nella loro danza stellare; e a governare questi ultimi a loro volta sono le consonanze musicali, le armonie che regolano l’universo, e la struttura matematica-musicale del Mondo-Anima. Quest’Anima stessa, secondo il punto di vista speculativo di Ficino, aveva animato un mondo-spirito che fungeva da mediatore con il mondo-corpo; e con questo Spirito il nostro spirito si era originariamente sintonizzato e persino unito. Una parte integrale della pratica del guaritore pertanto consisteva nel comprendere la complessa teoria dello spirito con riferimento sia al cosmo (il grande uomo nella famosa frase macrobiana) sia all’essere umano, il piccolo mondo. Piuttosto che essere un’anima incatenata o seppellita in un corpo, secondo le sacre immagini platoniche e cristiane, l’uomo è identificato qui con il suo spirito in un senso quasi medico: uno spirito dipinto come iscrizione talismanica, una polvere eterea, una fragranza di rose, un accordo musicale, una luce diffusa, persino un raggio planetario e soggetto alle influenze di balsami, canzoni, incantesimi, sortilegi, e preghiere. Ficino spesso risponde a questo mondo di terapie spirituali infatti non come un reame di male insidioso o di materiale inferiore ma come una ricca farmacopea di calmanti e di cure, una musicale e magica armonia di discordanze. E’ in questa dimensione visionaria del pensiero asclepiano di Ficino, con i suoi tanti affascinanti paralleli sia con le terapie della nuova epoca odierna sia con le caratteristiche della psicologia di Jung (vedi il lavoro di James Hillman, Thomas Moore ed altri) che lo rendono, più di Paracelso o di Cardano oserei dire, il più importante teorico di medicina speculativa del Rinascimento. Difatti, la sua affascinante visione del legame mente-corpo e della nostra stessa condizione demoniaca, e il suo approccio olistico alla salute e all’importanza del senso interiore di benessere e del potere del benessere interiore sul mondo esterno, fanno si che il suo orientamento generale, se non molte delle sue idee specifiche, sia eternamente attraente, ed alcuni direbbero persino rilevante. Fondamentale è comunque la nozione che l’uomo diventerà di nuovo la scintilla ermetica e orfica, il compagno della stella che era una volta, prima della caduta dal Cancro, la costellazione della Luna e il cancello dei mortali, giù attraverso la scala delle sfere planetarie. Quando sale di nuovo verso il Capricorno, la costellazione di Saturno e il cancello degli dei, l’uomo assume il corpo demoniaco, stellare e luminoso che è eternamente suo, e che Zoroastro aveva assunto quando aveva concepito l’alfabeto astrale. L’uomo, Ficino scrive in una lettera generica alla razza umana, è una stella terrena raccolta in una nube, mentre una stella è un uomo celeste. Ficino stava viaggiando attraverso gli stretti dell’ortodossia nel mare aperto delle antiche eresie gnostiche, incluso il Manicheismo, che erano state attaccate da vari Padri della Chiesa, soprattutto da Agostino e Plotino, la seconda più importante autorità secondo Ficino dopo Platone. Che tali speculazioni esoteriche e magiche non lo abbiano messo in pericolo è un segno delle sue abilità diplomatiche e risolutive e della solidità e del peso degli altri suoi lavori filosofici e teologici. Un secolo dopo Giordano Bruno fu messo al rogo per concetti non più rivoluzionari di quelli di Ficino. Il Fiorentino ci lascia in eredità sia il simbolo cristiano venerabile di uomo come viaggiatore, sia i simboli pagani dell’uomo come cicala demoniaca, un Orfeo con la sua lira accordata con i modi planetari, un sigillo ermetico, un mago Zoroastriano, una scintilla accesa dalla pietra focaia di materia dionisiaca, un cocchiere stellato sul veicolo dell’anima. Il suo audace tentativo di riconciliare il platonismo con il cristianesimo andò ben oltre il platonismo: divenne una ricerca ecumenica che durò tutta la sua vita al fine di introdurre nell’ortodossia una serie enciclopedica di credenze spirituali, magiche ed occulte, non ortodosse, legate al tema dell’ascesa dell’anima dalla caverna dell’illusione. Il fatto che abbia avuto un profondo impatto postumo sul pensiero e sulla cultura occidentale per due secoli o più mostra il continuo, anche se clandestino, interesse dell’elite europea nell’esplorazione di molte idee che Platone stesso non avrebbe accettato e che erano state censurate e persino perseguite dalla Chiesa. Ficino credeva fermamente, tuttavia che a bono in bonum omnia diriguntur. E’ questa credenza, iscritta nelle pareti del suo studio che dà alle sue intricate pagine una notevole unità e generosità nel servizio di ciò che era sempre una ricerca fondamentalmente ottimistica del fiore della mente, dell’unità che è per lui il fine dell’ascesa sia intellettuale che spirituale. Prima di finire, lasciatemi ricordare il ruolo speciale dell’Università di Pisa, e naturalmente di Galileo, nella rifioritura del platonismo nel Rinascimento, un ruolo che è stato eloquentemente descritto dal Professore Vasoli. Nel 1576 Francesco Verino convinse il Granduca Francesco I ad istituire qui la cattedra di filosofia platonica; la cattedra fu tenuta in successione prima dallo stesso Verino, poi da Jacopo Mazzoni , Carlo Tommasi da Cortona, e Cosimo Boscagli e poi tolta nel 1621 dopo la condanna di Galileo e la rinascita dell’aristotelismo nell’Università. Ma i Platonisti reagirono: nel 1630 Claude Bérigard cercò di eliminare gli antichi testi Aristoteliani e di sostituirli con quelli di Platone e persino con quelli pre-socrate, con la giustificazione che le idee di quest’ultimi fossero più compatibili con quelle di Galileo e la nuova scienza. Ancor più importante, nel Novembre 1638 in una orazione di inaugurazione per l’anno accademico, Paganino Gaudenzi, un professore qui di politica e storia, affermò che durante l’estate aveva preso parte con altri ad una lettura del Simposio alla villa di Careggi, appartenente al principe Leopoldo, fratello del Granduca toscano Ferdinando II. Il principe aveva apparentemente autorizzato la rifondazione di un’ Accademia fiorentina platonica. Come James Hankins aveva efficacemente mostrato, questa era la prima occasione in cui l’accademia letteraria di Lorenzo il Magnifico era stata designata come platonica e segna il pieno fiorire della propaganda medicea dell’accademia platonica fiorentina. Ciò non di meno, questo è anche un notevole momento per Pisa. Vi ringrazio profondamente per aver ascoltato così pazientemente il mio italiano esitante e per avermi oggi onorato. Mi sento privilegiato per aver passato gran parte della mia vita intellettuale con uno dei più famosi figli di Italia, un pensatore che fiorì quando questa lunga e benedetta penisola era al centro del mondo filosofico; e vorrei dedicare queste brevi parole oggi alla memoria di uno dei più grandi interpreti di Marsilio e di Pico, il recentemente scomparso Eugenio Garin, che mi illumina d’immenso.