Pisa, ottobre 2019
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
Buon pomeriggio a tutti quanti.
Devo ringraziare il Magnifico Rettore dell’università di Pisa con cui condivido questa passione per l’informatica, il Presidente del Premio Galileo Galilei, i Presidenti e tutti i membri dei Rotary Club e tutti quelli qui presenti.
Rompo un po’ gli schemi del discorso che doveva essere fatto, perché mi piacerebbe mostrarvi quello che facciamo in Giappone, cioè quello di cui mi occupo.
Il video che state vedendo mostra un po’ il tipo di robotica che facciamo. Io sono finito nel laboratorio del Professor Hirose nel 2001, il quale Prof. Hirose ha fatto il primo “snake robot”, cioè un robot serpentiforme. Fra l’altro questo robot venne presentato proprio ad Udine per la prima volta, generando uno stupore nell’ambito della robotica in tutto il mondo.
Da lì siamo partiti con diverse soluzioni: Hi-Bot appunto è partita come società spin-off del Tokyo Institute of Technology e ci siamo impegnati in diversi lavori. Le società arrivavano da noi e ci chiedevano di fornire loro il modo per aiutare le persone che loro hanno per fare ispezione degli impianti petrolchimici, linee dell’alta tensione e altri ambienti. Quindi portiamo questa robotica che preferisco chiamare “strumenti,” più che robot, perché sono proprio al servizio del mondo, per aiutare nel fare questo tipo di ricerche e di manutenzione in tutti i vari asset e nelle infrastrutture. Tra l’altro queste sono immagini anche inedite; è la prima volta che le faccio vedere in pubblico. Abbiamo realizzato molti sistemi robotici serpentiformi; il primo è stato questo che si vede nell’angolo. La società che ha coperto il reattore numero uno dopo l’esplosione del reattore, la Shimizu Corporation, ci ha contattati per poter avere uno strumento che potesser raccogliere dati: alla fine era quello che era necessario, raccogliere dati per poter programmare tutte le operazioni di pulizia dell’impianto.
Il robot si muove come un serpente perché c’è la necessità di muoversi fra le macerie ed evitare di fare collisioni, quindi generare fallout, che è quello che poi genera problemi con la radioattività.
Queste sono le immagini tratte dal robot durante le operazioni: questa è la parte del quarto e quinto piano. Il robot è stato utilizzato per cinque giorni, continuamente. Non c’era la possibilità di raggiungere questa situazione perché appunto le radiazioni sono molto alte qui. Quando è stato utilizzato il robot, mi trovavo nella sala di comando e devo dire che è stato uno dei più grossi traguardi della mia vita e della mia carriera scientifica, perché appunto sentire dai microfoni, dagli speaker gli operatori essere contenti di riuscire a capire cosa c’era, cosa stava succedendo, mi ha riempito il cuore. E’ stata una soddisfazione e mi sono emozionato proprio in quel momento.
Abbiamo anche tra l’altro altre ricerche sempre nell’area di Watarichou più a nord di Fukushima e questo anche con un po’ di incoscienza scientifica da un certo punto di vista: siamo partiti e siamo andati perché il Self Defense Forces del Giappone cercava appunto strumenti per poter cercare le persone che erano in questa baia – queste sono immagini appunto dello tsunami che tutti conosciamo -, e proprio in questa zona, cioè nella baia, cercavano ancora dei corpi e non c’era modo di potersi concentrare nelle ricerche: le persone facevano fatica, l’esercito doveva occuparsi della pulizia, ma c’era anche bisogno di cercare i corpi, siamo quindi partiti con un camper. Le strade ancora non erano agibili, nessuno ci voleva portare via nave, perché appunto il clima era in quelle gravi condizioni; siamo quindi andati e abbiamo fatto per tre giorni ricerche nel mare. Questa mattina al Museo pensavo a quelle tecnologie che potrebbero essere utilizzate per quel tipo di ricerche anche archeologiche: questo è il Self Defense dell’esercito giapponese, queste sono montagne di spazzatura che era stata raccolta mentre loro cercavano le persone all’interno di questa baia. Non c’erano navi per cui ci hanno fornito un gommone. Il nostro robot era una specie di cane al guinzaglio che può essere controllato mantenendo in tensione il cavo e permette di fare una scansione dell’ambiente marino. Queste sono immagini appunto di pre-test che abbiamo fatto all’interno dell’università; usando degli scanner 3D raccoglievamo informazioni. Abbiamo trovato di tutto – non abbiamo trovato corpi perché poi alla fine erano stati portati dal mare a centinaia di chilometri dopo lo tsunami.
Abbiamo fatto sistemi anche per ambienti molto più complicati, come ad esempio questo sistema che adesso è in mano alla Protezione Civile di Singapore, Civil Defence Force, che ci ha chiesto un sistema per poter trovare le persone all’interno delle macerie. Per esempio, quando ci sono terremoti o disastri in genere, i tempi sono molto brevi per poter trovare dei superstiti, quindi abbiamo modificato questo snake robot aggiungendo la capacità di poter distribuire dei sensori che vengono poi distribuiti anche agli operatori; essi si collegano fra di loro e noi raccogliamo informazioni sull’anidride carbonica, sulla pressione e la temperatura e riusciamo pure a generare una mappa colorata che permette all’operatore di capire dove concentrarsi nelle ricerche. Questo sistema, che è stato testato per tre anni consecutivi dalla Civil Defence Force, adesso è pronto per cominciare appunto le operazioni: si spera che non debba essere utilizzato, però questo è un altro dei campi in cui portiamo la nostra robotica.
Argomento anche abbastanza attuale per l’Italia è l’ispezione dei ponti: il Giappone sta sviluppando tantissime tecnologie per l’ispezione dei ponti. L’obiettivo è quello di trovare “crack” di circa 0,1mm e quindi di poter fare una previsione di quello che potrebbe succedere alla struttura. Purtroppo noi umani, quando abbiamo dei problemi magari lo diciamo, andiamo all’ospedale, ci facciamo controllare. Le strutture ovviamente non lo fanno. Purtroppo le strutture sono spesso molto, molto vecchie e c’è bisogno di tantissime ispezioni. Noi abbiamo ideato un sistema che è ancora in fase di testing, che viene applicato ai lati del ponte: praticamente non causiamo traffico sul ponte, per cui tutti utilizzano il ponte senza accorgersi che questo tipo di operazione sta avvenendo, e il sistema robotico viene poi distribuito sotto il ponte. Il sistema è un braccio che si muove in automatico e raccoglie immagini ad alta definizione, e anche qui generiamo delle mappe che danno un completo asset management di tutta la struttura per poi poter fare un’analisi anche nell’arco degli anni, quindi mantenere un database con tantissimi dati che permettano di fare delle stime su che tipo di operazioni fare e quando farle.
Diciamo che considero questo Premio come un grosso passo per la mia carriera; ringrazio i Rotary Club e l’Università di Pisa perché appunto è una spinta verso i prossimi obiettivi.
Come si sa la ricerca, come si diceva prima, non è fatta da una persona ma da un gruppo e non è sempre facile, perché la strada non è in discesa ma in salita. Ci sono tantissimi ostacoli da superare e l’unica cosa che ci spinge è la passione, perché anche di fronte ai fallimenti si deve andare avanti e e si deve tener viva la passione, anche se non è facile.
I premi come questo offrono la possibilità di mostrare quello che facciamo e rappresentano, anche con un po’ di modestia, un esempio per i giovani che vengono così spinti a migliorare ulteriormente.
Da ultimo, ma non ultimo, vorrei ringraziare anche la mia famiglia, sia quella italiana, perché mi hanno supportato e sopportato pur con questa distanza dall’Italia che dura ormai da quasi 19 anni, sia anche quella giapponese perché non è facile fare il padre con questo tipo di passione e quindi si cerca di trovare sempre un bilanciamentoo fra lavoro e famiglia, ed è sempre difficile riuscire a farlo nel migliore dei modi. Per cui ringrazio tutti ancora per questo Premio e spero di rincontrarvi presto. Grazie mille.