Pisa, ottobre 2022
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
. Magnifico Rettore, Signor Sindaco, Signor Presidente della Fondazione Premio Galilei, Autorità, Colleghi, Signore e Signori, Ringrazio sentitamente i Rotary Club Italiani e i Membri della Giuria per questo prestigioso riconoscimento che mi è stato assegnato nell’ambito delle Scienze Agrarie.
Chiedo altresì umilmente scusa per non essere fisicamente con voi nella straordinaria, prestigiosa ed emozionante sede dell’Università di Pisa. Purtroppo mi trovo oltre oceano e avevo già preso impegni improrogabili quando ho ricevuto la notizia del premio.
Questo premio Internazionale Galileo Galilei per la “Scienza” oltre a rappresentare per me un grande onore, assume un significato speciale in quanto non sono uno “scientist” convenzionale. Infatti, la mia carriera di studioso e ricercatore si è sempre mescolata con progetti di campo molto pratici che non si qualificavano come “scientifici” ma piuttosto come “tecnici” ed applicativi della conoscenza scientifica. Ciò non di meno, la dimensione scientifica ha sempre caratterizzato fortemente il mio percorso professionale, che comunque si nutriva delle esperienze dei progetti di campo.
Essendo figlio di agricoltori del Sud d’Italia, e lavorando prevalentemente con i paesi del Nord Africa e Medio Oriente, il mio interesse di ricercatore si è rivolto sin dall’inizio verso una delle risorse più scarse in tali aree, ovvero l’acqua.
Il divario tra domanda della risorsa idrica e sua disponibilità è andato aumentando incessantemente soprattutto dagli anni 60 in poi. Inoltre si è amplificato a causa di fattori concomitanti quali:
• l’aumento demografico (si stima che per soddisfare i fabbisogni primari di una persona servono circa 3000 litri al giorno. Solo il 2% di questo ammontare serve per il fabbisogno potabile e per l’igiene personale. Il resto serve per la produzione del fabbisogno alimentare di base. Inoltre tale quantità varia a seconda del tipo di dieta)
• lo sviluppo socio-economico che ha portato ad una crescente domanda di acqua da parte di settori diversi da quello agricolo/alimentare, con conseguente aumento della competizione tra i vari utenti dell’acqua
• il “cambio climatico” che ha inciso sulla disponibilità idrica nei paesi già aridi, sia riducendo la piovosità che incrementando i fenomeni siccitosi
• il continuo degrado della qualità delle acque, sia di superficie che sotterranee.
Il continuo aumento della domanda e competizione per le risorse idriche, dunque, impone un un uso sempre più efficiente dell’acqua da parte di tutti i settori, e in primis da parte dell’agricoltura che estrae da sola circa il 70% delle risorse idriche, superficiali e sotterranee, a livello globale.
È con questo retroscena che ho rivolto le mie ricerche eco-fisiologiche sulla produttività dell’acqua in termini di biomassa vegetale.
È noto che il processo fondamentale di produzione della biomassa vegetale richiede la perdita di acqua attraverso la traspirazione in cambio dell’assimilazione di anidride carbonica (CO2) attraverso la fotosintesi. Generalmente diverse centinaia di litri di acqua vengono traspirati per produrre 1 Kg di biomassa. Per dare un’ordine di grandezza più tangibile, si pensi che si consuma grossomodo 1 litro di acqua per produrre una chilocaloria. Questo è il motivo per cui l’agricoltura è il settore a più alto consumo di acqua a livello globale.
L’efficienza d’uso dell’acqua in questo processo di scambio gassoso (acqua per anidride carbonica) a livello fogliare è espressa dal rapporto tra CO2 assimilata e acqua traspirata. Questo rapporto è stato osservato rimanere pressocchè stabile una volta mantenuti costanti i gradienti di concentrazione dell’acqua e della CO2 tra esterno ed interno della foglia.
Appare che le piante si siano evolute sviluppando meccanismi di “feedback” e di “feedforward” per mantenere questo rapporto in equilibrio stabile. Anche se perturbato, il sistema che regola lo scambio gassoso fa sì che si ritorni all’equilibrio dopo breve tempo. Questo comportamento “conservativo” è stato osservato in diverse condizioni ambientali quali: stress idrico, variazioni termiche, diverso irraggiamento solare, diversi livelli nutrizionali e di salinità, etc.
Ma la produzione di biomassa implica ulteriori considerazioni nel passare dalla scala fogliare a quella di manto vegetale di una coltura di pieno campo. Da un lato, le foglie non sono le uniche componenti del manto vegetale. Ci sono anche gli organi strutturali e quelli di riproduzione che cambiano di dimensione e di composizione (es., carboidrati, proteine, grassi) durante il ciclo colturale. Inoltre vi è il passaggio di produttività da quella “per superficie fogliare” a quella “per superficie di suolo”. La quantità di radiazione solare intercettata dalla coltura diventa poi non solo funzione della quantità totale di area fogliare per unità di superficie del suolo, ma anche della disposizione geometrica delle foglie all’interno del manto vegetale. Entrano in gioco anche la densità delle piante e lo stadio di sviluppo vegetativo.
Gran parte della ricerca che ho condotto con vari colleghi ha teso dunque: a sviluppare il “framework” teorico della produttività dell’acqua in termini di biomassa, procedendo per passi successivi dalla scala fogliare a quella dell’intero manto vegetale delle colture di pieno campo; a procurare le evidenze sperimentali sul comportamento delle colture in diverse condizioni ambientali e sulla conseguente produttività dell’acqua; e cercare di rispondere ad un quesito fondamentale, ovvero quale fosse il limite della quantità di biomassa che una coltura può produrre per unità di acqua consumata attraverso la traspirazione.
Un filone importante di ricerca in tal senso ha riguardato il processo di respirazione da parte della coltura. Infatti, l’accrescimento dei vari organi, il mantenimento del loro metabolismo di base, il trasporto di assimilati, l’assorbimento degli elementi minerali da parte delle radici, ed in particolare la composizione della biomassa (in termini di carboidrati, proteine e grassi), influenza significativamente la respirazione della pianta, quale fonte di energia biochimica.
I risultati delle ricerche hanno portato ad accumulare ulteriori evidenze sulla pressocchè costante proporzionalità tra respirazione ed assimilazione fotosintetica nelle diverse condizioni ambientali, e durante il ciclo colturale, premesso che la composizione della biomassa non cambi significativamente durante le fasi di sviluppo della coltura.
Si è anche consolidata l’acquisizione che, come per la scala fogliare, anche per la scala di campo i processi di traspirazione e di assimilazione fotosintetica condividono la stessa fonte di energia, ovvero quella solare intercettata. Anche se solo all’incirca metà della radiazione solare è fotosinteticamente attiva, questa è in proporzione costante rispetto all’intero spettro della radiazione solare intercettata.
Molti esperimenti avevano già mostrato nel passato come la relazione tra biomassa prodotta e acqua traspirata sia altamente lineare, e che i valori delle pendenze delle rette di tale relazione rimangono pressoché costanti in uno specifico ambiente.
L’analisi della variabilità spaziale e temporale delle relazioni lineari tra biomassa cumulata ed acqua traspirata (la cui pendenza rappresenta appunto la produttività dell’acqua in termini di biomassa) ci ha portato quindi a sviluppare la procedura di “normalizzazione” per la diversità climatica, che permette di estrapolare i valori di tale produttività nello spazio (tra zone climatiche diverse) e nel tempo (tra stati di concentrazione di CO2 riferiti al passato o al futuro prossimo).
I risultati delle varie ricerche hanno così portato ad alcune importanti conclusioni:
• c’è un comportamento conservativo della produttività dell’acqua in termini di biomassa, una volta normalizzati i valori per la domanda traspirativa dell’atmosfera e per la sua concentrazione di anidride carbonica
• le differenze di tale produttività dell’acqua tra le specie erbacee sono confinate nei due grandi gruppi a cui esse appartengono, le C3 e le C4 (che differiscono nel percorso del processo fotosintetico), mentre non sono state osservate differenze significative tra le specie all’interno dello stesso gruppo e con simile composizione della biomassa
• le differenze di composizione della biomassa in termini di carboidrati, proteine e grassi sono, infatti, la principale causa di variazione dei valori normalizzati di produttività dell’acqua all’interno dei due gruppi.
Questi risultati hanno portato ad importanti applicazioni pratiche, particolarmente in ambienti esposti a scarsità idrica. Una di queste applicazioni è la mappatura delle diverse zone climatiche, e dei diversi sistemi colturali, in “classi” differenti di produttività dell’acqua, in modo da ottimizzare l’allocazione delle scarse risorse idriche. A livello aziendale, l’analisi della produttività dell’acqua permette di migliorare le strategie di irrigazione sub-ottimale, quali l’irrigazione di supplemento alle piogge o l’irrigazione deficitaria.
Ma un impatto diretto di questi risultati delle ricerche sulla produttività dell’acqua in termini di biomassa ha riguardato l’evoluzione di precedenti strutture concettuali per la modellizzazione colturale.
La struttura di base che accomuna un pò tutti i modelli colturali è il cosiddetto “motore di crescita” che, a partire dalla radiazione solare intercettata, che agisce come fattore trainante primario dell’assimilazione fotosintetica, simula la produzione di biomassa.
Allo stesso tempo la radiazione intercettata agisce come fattore trainante della traspirazione e, da quanto esposto in precedenza sul comportamento “conservativo” delle produttività dell’acqua, possiamo identificare una “triangolazione” tra radiazione solare intercettata, biomassa prodotta e acqua traspirata da parte di una coltura di pieno campo.
Agli albori della modellizzazione colturale, di cui la scuola di Wageningen è stata pioniere, il motore di crescita per la determinazione della biomassa si basava sull’assimilazione lorda della CO2, funzione della radiazione solare intercettata, a cui si sottrae la respirazione per arrivare alla determinazione dell’assimilazione netta. Per via del ruolo prevalente dell’anidride carbonica nel motore di crescita, questo viene tipicamente indicato come “carbon driven” (il motore di crescita usa l’anidride carbonica come carburante). Il vantaggio principale dei modelli basati sul motore “carbon driven” risiede nella suddivisione gerarchica degli organi della pianta e dei suoi processi, così che ciò che si osserva a livello gerarchico superiore (es., manto vegetale) risulta dall’integrazione di ciò che accade al livello gerarchico inferiore (es., foglie). Lo svantaggio però è rappresentato dalla grande variabilità delle risposte fisiologiche a livello gerarchico inferiore e dall’incertezza nei numerosi parametri richiesti dal modello e nella loro calibrazione.
In anni più recenti, Monteith (dell’Università di Nottingham) ha introdotto la relazione diretta tra biomassa e radiazione solare intercettata, bypassando in questo modo i vari processi coinvolti nei livelli gerarchici inferiori, propri del motore di crescita “carbon driven”. Per via del ruolo diretto della radiazione solare intercettata nella produzione di biomassa, questo secondo motore di crescita è generalmente indicato come “solar driven” (è l’energia solare che fa funzionare il motore). Il vantaggio principale dei modelli basati sul motore “solar driven” risiede nella sua semplicità e robustezza delle relazioni lineari biomassa-radiazione solare, purchè in condizioni non-limitanti, particolarmente senza stress idrici. Lo svantaggio è nella variabilità ti tali relazioni tra diverse specie, diversi ambienti, e tra diversi anni, senza avere opportunità di normalizzazione.
La proposta del terzo motore di crescita, indicato come “water driven” (il motore usa l’acqua come carburante), è stato appunto l’innovazione di usare la relazione diretta biomassa-traspirazione, basata sui risultati delle ricerche e degli studi precedentemente richiamati. Il vantaggio principale nell’uso di questo motore di crescita “water driven” è rappresentato dal comportamento conservativo della produttività dell’acqua in termini di biomassa (anche in condizioni di stress idrico) e dalla possibilità di normalizzare i valori per clima e concentrazione carbonica dell’atmosfera, conferendo così robustezza, semplicità ed accuratezza alla simulazione della crescita colturale. Questo motore di crescita “water driven” è al cuore del modello della FAO chiamato AquaCrop, dimostratosi particolarmente utile in ambienti dove la risorsa idrica è scarsa.
Altre applicazioni dei risultati delle ricerche sulla produttività dell’acqua hanno riguardato l’aspetto del risparmio idrico, integrando in un continuum le componenti ingegneristiche, agronomiche ed eco-fisiologiche nella gestione delle risorse idriche in agricoltura.
È chiaro che ulteriori ricerche sulla produttività dell’acqua continuano per dissolvere dubbi rimasti a livello ec-fisiologico (cito ad esempio solo due casi: l’impatto sulla produttività dell’acqua dovuto alla risposta stomatica all’umidità; le reali opportunità offerte dalla genetica nell’aumentare la produtiività dell’acqua). Inoltre, l’esigenza di ampliamento di scala della produttività dell’acqua a livello di comprensori irrigui, di bacini e di interi stati, ha richiesto l’utilizzo sempre maggiore del telerilevamento da satellite, aprendo altri filoni di ricerca riguardanti tra l’altro l’incertezza delle misure e la propagazione degli errori nei vari algoritmi per la determinazione dei consumi idrici.
Certamente tutti campi di ricerca affascinanti. Ma credo di aver impiegato molto del tempo a disposizione, per cui mi fermo qui e ringrazio nuovamente tutti voi per l’attenzione e per avermi conferito questo importante riconoscimento.
Grazie.