Pisa, ottobre 1984
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
Tradizionalmente, il vincitore del Premio Internazionale Galileo Galilei pronuncia un discorso breve, ma serio, sulle ricerche che hanno fatto nascer in lui un interesse particolare per la cultura italiana. Con orgoglio, gratitudine, e gran contentezza ricevo il premio, e seguirò con piacere la tradizione; ma prima vorrei dire che il mio interesse per l’Italia e per gli italiani risale alla mia gioventù, vissuta in California presso la Baia di San Francisco. Il clima e la campagna non sono dissimili da quelli della Toscana, cosa che ha attratto fin dall’inizio molti emigranti italiani. E’ stata una vera fortuna per noi che l’amore dell’utilità e della bellezza, virtù gemelle tanto care agli italiani, sia diventata parte integrante della nostra stessa cultura. I nostri vigneti e le cantine, le pesche ed i buoni ristoranti della nostra costa, esemplificano l’amore delle cose utili degli emigranti italiani, mentre i mercati stradali di fiori a San Francisco mostrano il loro amore per la bellezza. Così, durante la mia prima visita in Italia, mi sentii subito a mio agio. Arrivai a Milano da Londra, dove la lingua parlata è, più o meno, la mia, ma dove non mi ero mai veramente sentito come il benvenuto. Qui, la lingua non mi appartiene, eccetto quella scritta nei libri, anzi nei libri del Seicento. Ma l’atteggiamento cordiale, gentile, educato, che dimostrano gli italiani verso noi stranieri, mi fece sentire come a casa mia. In parte è dovuta alla vostra abituale generosa ospitalità verso gli stranieri, la mia scarsa conoscenza della lingua parlata, per la quale vi chiedo perdono. Ora, il mio interesse particolare per Galileo risale a mezzo secolo fa, non tanto per la sua scienza quanto per la personalità vivace dell’uomo. Solo uno dei suoi libri era allora disponibile in versione inglese, i Discorsi intorno a due nuove scienze. Interessato, dunque, per la sua scienza, pubblicai una traduzione in inglese del suo famoso Dialogo nel 1953. Da allora ho tradotto quasi tutti i libri galileiani per i lettori di lingua inglese. Come ben sapete, a Galileo non sono mai mancati critici ostili, non sempre solleciti dell’esattezza delle loro affermazioni. Ritengo una inutile perdita di tempo rispondere ai suoi detrattori se non facilitando la lettura dei libri di Galileo, nei quali rispondeva ampiamente egli stesso. Nel campo della musica, nonché della pittura o della scultura, l’importanza storica della cultura italiana è riconosciuta da tutti. Nel campo della scienza, da pochi. Non è strano. Col passar del tempo, un capolavoro musicale o artistico ci pare sempre più geniale, sorprendente, mirabile. Un capolavoro scientifico, al contrario, col passar del tempo ci pare più elementare, anzi primitivo, e evidente. Vorrei citate un brano qui dal famoso Dialogo di Galileo, che scrisse: Ammiro più assai il primo inventor della lira – benché creder si debba che lo strumento fusse rozissimamente fabbricato e più rozamente sonato – che cent’altri artisti che, ne i conseguenti secoli, tal professione ridussero a grand’esquisitezza. Il Premio Internazionale Galileo Galilei porta un nome conosciuto in tutto il mondo, il nome d’un pioniere tra gli scienziati. Ma credo che la scienza di Galileo stesso, anche qui in Italia, venga considerata un po’ fuori moda e quasi non degna di uno studio severo; ma Galileo fu il primo inventore della fisica matematica, voglio dire della fisica moderna. Ma questa non fu fabbricata rozzamente. Le virtù dell’utilità e della bellezza erano già presenti. Prima del tempo di Galileo la fisica mancava di utilità, essendo basata sulla metafisica. Mancava anche quella bellezza matematica introdotta da Galileo colla legge della caduta dei gravi. E’ utile potere calcolare le posizioni di un corpo nella caduta, ed è bello avere a quel fine l’elegante regola matematica galileiana. La fisica di Galileo mi fa pensare spesso alle virtù gemelle tanto care agli italiani, trasportate da loro in California. E c’è di più. Quella legge non fu scoperta senza l’aiuto della musica, altra parte propria della cultura italiana. Questo fatto risulta dalle mie ricerche nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Ci sono alcuni appunti di pugno di Galileo che non erano stati pubblicati nell’Edizione Nazionale delle sue opere. Uno di questi, folio 107 del volume 72 dei manoscritti galileiani, contiene misurazioni quasi esatte delle posizioni successive di una palla lungo un piano inclinato, alla fine di otto tempi uguali. Per la divisione precisa dei tempi Galileo usava un ritmo musicale. Pochi giorni dopo, scopriva la legge della caduta in lavori notati sul folio 189 attenenti al pendolo. Aveva già misurato lunghezze di pochi millimetri, e tempi di un ventesimo di secondo. Anche nell’astronomia Galileo faceva le misurazioni più precise. Di solito, consideriamo il suo cannocchiale come strumento di scoperta, e niente più. Ma nel 1612 Galileo aggiungeva un tipo di micrometro ottico, accennato nei suoi appunti in un quaderno di osservazioni dei satelliti di Giove. L’anno seguente, misurando angoli nel cielo fino a dieci secondi d’arco, registrò una supposta stella fissa presso Giove che gli pareva avere cambiato posizione. Il dr. Charles Kowal, un astronomo della California, ed io abbiamo mostrato che la supposta stella fissa era il pianeta Nettuno, osservato da Galileo due secoli e mezzo prima della famosa scoperta del pianeta Nettuno, nel 1846. Tanto precisi erano gli appunti galileiani, che oggi gli astronomi cercano un altro pianeta, oltre Plutone, che avrebbe potuto perturbare il moto di Nettuno nella sua orbita. Davvero, l’amico Fra Fulgenzio Micanzio aveva ragione quando scrisse: E’ l’ingegno di V.S. come le boteghe degl’orefici; ove si fanno li cancelli, acciò che né anco la polvere si perda, perché ha mescolato oro. Le scienze di cui Galileo scrisse erano veramente nuove, e non, come sostenevano i professori di filosofia ed i teologi, non migliori della filosofia naturale aristotelica. Il loro errore rivive oggi quando gli storici identificano la scienza galileiana con la filosofia della natura, radicata nei principi metafisici, ai quali veniva subordinata la osservazione stessa. Galileo capovolse tale ordine, subordinando i principi metafisici ad osservazioni caute e precise. Così nasceva una fisica nuova. Adottato dall’Accademia dei Lincei, dall’Accademia del Cimento, e dalla Royal Society di Londra, il nuovo concetto della scienza introdotto da Galileo si diffuse in tutt’Europa prima della fine del Seicento. Io noto con piacere singolare che già in una simile occasione, il Premio è stato conferito, nell’ambito della storia della scienza, ad un altro americano ed ancora per studi sulla scienza del Seicento. Posso suggerire una ragione di tale coincidenza. Ogni nazione europea prese parte alla grande rivoluzione scientifica del Seicento. Ognuna si vanta di aver contribuito. L’Italia si vale di Galileo, la Germania di Johann Kepler, l’Olanda di Christiaan Huygens, la Francia di René Descartes, e l’Inghilterra di Isaac Newton. Allora, l’America non esisteva come nazione, o nazioni. I coloni, troppo presi dalla lotta per la sopravvivenza, non potevano prendere parte a grandi movimenti culturali. Noi americani e canadesi studiosi della storia della scienza, manchiamo di un compatriota da presentare quale vero fondatore della scienza moderna. Dunque possiamo scegliere dal lungo elenco di illustri candidati, senza paura di offendere i nostri connazionali. Ora solo l’obiettività ci porta a mettere in primo piano l’Italia per avere separato la scienza dall’antica metafisica, per studiare la natura come si presenta. Fu proprio nell’ambiente ricco di tradizioni culturali italiane che Galileo trovò la strada per quel tipo di studi. Il concetto galileiano di misurazioni precise nel campo della fisica, seguendo l’esempio degli astronomi antichi invece delle opinioni dei filosofi antichi o coevi, creò la fisica moderna. In America, dove viene preferita la scienza utile alla filosofia speculativa, Galileo è riconosciuto sempre più come fondatore della scienza esatta. Questa scienza è un nostro retaggio proveniente dalla cultura italiana, non meno di quanto lo siano i grandi progressi rinascimentali nella musica e nell’arte. Spero che questo cessi di essere messo in dubbio dagli stranieri quando affrontano Galileo, leggendolo nelle lingue che sono loro familiari. Rendere possibile ciò è stato il mio compito per molti anni, quale servizio alla verità ed ai miei connazionali. Il Premio che, auspice il Rotary, mi è stato conferito da stimatissimi giudici ai quali è sembrato benefico anche per l’Italia il mio contributo, è del tutto inaspettato, e lo renderà a me caro più di ogni altro finché vivrò. Serberò per sempre questo premio a ricordo della generosità d’animo dimostrata in Italia agli stranieri: penso alla “Sala degli Stranieri” dello Studio di Padova; al monumento di Bellosguardo ai residenti stranieri del passato; e alla magnifica lapide sulla facciata della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, per ricordare l’aiuto prestato da stranieri dopo l’inondazione di circa venti anni fa. Soprattutto, il premio manterrà viva la mia memoria della Professoressa Maria Luisa Bonelli-Righini, senza la gentilezza della quale non avrei mai potuto compiere questo mio lavoro.