Pisa, ottobre 2024
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
Magnifico Rettore, signor Sindaco, signor Vicepresidente della Fondazione Premio Galilei, Autorità tutte, Colleghi, Signore e Signori.
Ci sono molti motivi per visitare l’Italia e innamorarsi del Paese e della sua gente. Johann Wolfgang von Goethe ha espresso con parole senza tempo la passione dei Tedeschi per l’Italia e la sua cultura. Questo desiderio mi è stato inculcata già al ginnasio. Ma per uno storico come me, specializzato in storia romana, di cui mi occupo ormai da più di 60 anni, l’Italia è il Paese con cui si deve convivere, semplicemente a causa della propria professione. Ma fin dall’inizio, questo must è divenuto per me una scelta decisa e consapevole.
Descriverei la mia vita quasi come una vita con l’Italia. Il mio primo viaggio autonomo in un Paese straniero fu proprio in Italia nel 1960, alla fine del mio primo semestre all’Università di Erlangen. Il viaggio mi portò a Firenze, la città del Rinascimento con il suo più grande genio artistico: Michelangelo, le cui opere, che prima conoscevo solo dai libri, allora potei godere in prima persona. Ma già allora incontrai anche l’eredità romana, agli Uffizi e a Fiesole. Ci vollero altri undici anni prima che potessi visitare di nuovo l’Italia nel 1971, questa volta Roma e dintorni.
Sono venuto a Roma con altri giovani studiosi che si concentravano sulla storia della Roma repubblicana e imperiale. Molti in particolare lavoravano su un gruppo centrale di fonti storiche, le iscrizioni latine, che erano un importante mezzo di comunicazione pubblica in epoca romana. Questi testi si trovano in luoghi importanti anche qui a Pisa: alcune lapidi su cui sono incisi testi latini del periodo imperiale romano sono state incastonate nelle pareti della cattedrale e, anche se spesso solo in modo frammentario, raccontano il passato della città. Ne abbiamo viste molte altre iscrizioni questa mattina nel Camposanto Monumentale, tra cui le targhe monumentali con i decreti onorifici del consiglio municipale di Pisa per i figli di Augusto defunti.
Da quella prima visita alla Città Eterna, il passato romano dell’Italia e i suoi resti visibili mi hanno accompagnato per tutta la vita, fino ai giorni nostri. Sono venuto in Italia almeno una volta all’anno, spesso più volte nell’arco di un anno. Ho conosciuto l’Italia da nord a sud, comprese le due grandi isole, Sicilia e Sardegna. Ho partecipato soprattutto a conferenze e colloqui nelle università di tutto il Paese, ad Aosta, Trento e Udine, passando per Milano, Pavia, Padova, Venezia, Ferrara, Bologna, Pisa, Firenze, Macerata, Roma, L’Aquila, Cassino, Napoli, Bari, Potenza, Lecce, Catania, Messina, Cagliari e Sassari. Con molti colleghi si sono sviluppati rapporti stretti, che sono sopravvissuti ai lunghi decenni fino ad oggi. Il mio rapporto con il collega più anziano, Silvio Panciera, professore di epigrafia e antichità romane presso l’Università di Roma “La Sapienza”, è stato particolarmente stretto fin dai primi anni Settanta. L’ho conosciuto personalmente nel 1973, quando lavoravo per la mia abilitazione all’Istituto Archeologico Germanico di Roma. L’ho incontrato talvolta ogni anno a Roma o in altre università fino alla sua scomparsa nel 2016: è stata una prematura scomparsa per tutti coloro che lo hanno conosciuto personalmente e apprezzato come personalità accademica di spicco.
L’argomento su cui lavoravo a Roma come tesi di abilitazione non poteva essere più italiano: L’organizzazione statale dell’Italia in epoca alto-imperiale; il libro fu poi tradotto in italiano con il titolo: L’Italia nell’Impero Romano. Stato e amministrazione in epoca imperiale, pubblicato a Bari. Si tratta di un tentativo di mostrare come lentamente anche le comunità di questo centro politico siano state assorbite da un’amministrazione statale e come questa abbia influenzato a determinare le loro vite. Non da ultimo, è stata l’ampia esenzione fiscale a garantire per diversi secoli un’ampia libertà alle comunità. Voi tutti sapete molto meglio di me come stanno i problemi oggi.
Da molte delle università che ho visitato più volte, sono venuti da me a Colonia giovani durante i loro studi di dottorato, alcuni in cotutela tra la loro università e la mia alma mater Coloniensis. Ricordo in particolare il primo di questi dottorandi, Alberto dalla Rosa, che oggi è uno dei direttori di un grande istituto di storia antica a Bordeaux. Era un dottorando proprio dell’università di Pisa. Al termine dei tre anni di dottorato, avrebbe dovuto sostenere l’esame finale qui a Pisa poco prima del Natale 2009; io avrei preso l’aereo per venire qui. Ma il giorno stesso del viaggio, a Colonia c’era così tanta neve che nessun aereo poteva decollare. Così ho inviato per via elettronica a Pisa il mio giudizio sul suo lavoro, che meritava la massima lode.
Alberto dalla Rosa non è stato l’unico dottorando proveniente dall’Italia di cui ho potuto essere supervisore. Bologna, Roma, Verona e Cagliari sono state le altre università da cui i giovani sono entrati in contatto con me e hanno potuto completare le loro tesi di dottorato: Davide Faoro, Camilla Campedelli, Tiziana Carboni, Giuliano Caracciolo. Gli argomenti erano molto diversi, ma tutti riguardavano problemi del periodo imperiale romano, cioè dai secoli da Augusto alla fine del III secolo d.C. Posso citare i temi: “Poteri imperiali e autorità proconsolare. Aspetti del governo dell’impero romano tradizione e nuovo regime”; un altro argomento era: “Praefectus, procurator, praeses. Genesi delle cariche presidenziali equestri nell’alto impero romano”; un’opera è stata pubblicata anche in tedesco: “Die Administration der Straßen im römischen Italien durch die Städte” = L’amministrazione municipale delle strade nell’ Italia”; altre erano intitolate: “La parola scritta al servizio dell’Imperatore e dell’Impero: l’ab epistulis e l’a libellis nel II secolo d.C.” e infine “Chiusi romana. Ricerche di prosopografia e di storia socio-economica”. Si trattava di argomenti di ampio respiro, ma per lo più l’Italia era anche al centro della discussione scientifica, non diversamente da quanto accadeva nel mio lavoro, ad esempio in un ampio contributo alla Storia di Roma, pubblicata da Einaudi. L’invito a contribuire è stato rivolto da Emilio Gabba, una vera e propria grande figura degli studi sull’antichità romana, che, come molti di voi sanno, insegnò per vari anni Storia Romana qui a Pisa. Il tema era: La riforma dei gruppi dirigenti: l’ordine senatorio e l’ordine equestre, e devo l’appropriata traduzione di questo contributo all’amico Arnaldo Marcone, che oggi è qui con noi.
In questo contributo, come in molti altri, Augusto, questa figura dominante della storia romana, ha avuto un ruolo centrale. Egli contribuì più di chiunque altro nel suo tempo alla formazione di un’Italia unita. Non bisogna dimenticare che l’Italia non è stata un Paese unificato per molti secoli; le tribù d’Italia, Latini, Sabini, Etruschi, Umbri, Sanniti e molte città greche, soprattutto nella Bassa Italia, vivevano una propria vita politica e sociale e comunicavano nelle proprie lingue; solo in un processo lungo e spesso sanguinoso si è sviluppata un’unità in cui tutti potevano comunicare nella stessa lingua, il latino. Ciò non significa che tutte le differenze siano scomparse: ogni regione, ogni città ha mantenuto la propria specialità, come accade ancora oggi. Ed è questa l’attrattiva, anche per chi viene qui da un Paese straniero e vuole conoscere il passato e la realtà attuale del Paese. Ma politicamente l’Italia fu unificata prima da Cesare e poi soprattutto da Augusto. E durante il suo regno, egli plasmò la città di Roma in termini di sviluppo urbano e la rese il centro dell’ecuméne dell’epoca.
Nel 1997, l’editore Beck di Monaco mi chiese se volevo scrivere un libro su Augusto per un pubblico generico. La cosa mi allettava e accettai. Ma dove scrivere questo libro? Decisi per Roma, dove tutti possono avvicinarsi allo spirito dell’antica potenza romana. In ogni caso, non potevo immaginare un luogo in cui avrei potuto sperimentare e poi descrivere più intensamente questo grande plasmatore del mondo italiano e romano. Dalla mia scrivania all’Istituto Archeologico Germanico in via Sardegna a Roma, non c’era molta distanza dal Campidoglio, dal Foro Augusto o dal Teatro Marcello. Forse questa ispirazione ha contribuito al fatto che sono riuscito a completare il libro abbastanza rapidamente. È stato pubblicato per la prima volta nel 1998 e ha avuto, inaspettatamente per me, un notevole successo: ora ci sono anche edizioni in inglese, ceco, cinese e turco. Ma – e questo è stato molto importante per me – la prima traduzione è stata in italiano: Augusto e il suo tempo, pubblicato nel 2000 da il Mulino di Bologna, nel 2010 in seconda edizione.
Ho appreso da una curiosa circostanza che il libro si trova anche in piccole località italiane. Stavo guardando un servizio alla televisione tedesca sulle isole del Mar Tirreno, la maggior parte delle quali conoscevo già personalmente. Ma poi il servizio parlava anche di Ventotene. All’epoca non la conoscevo. La telecamera mostrava molto dell’isola, compreso il luogo in cui Giulia, l’unica figlia di Augusto, visse come esule. Ma poi il servizio condusse lo spettatore in una libreria di Ventotene e mostrò la copertina di un libro: Augusto e il suo tempo. Mi ci è voluto un attimo per capire. Era il mio libro su Augusto. Ma poi mi fu chiaro. Il mio primo nuovo viaggio in Italia doveva essere in quest’isola. Così, l’anno successivo a questa esperienza televisiva, ho viaggiato con mia moglie in traghetto da Gaeta a Ventotene, che è diventata così importante per la storia d’Italia dal periodo augusteo a oggi. Il Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita è un’anticipazione di un’Unione Europea che ci permetta di vivere insieme pacificamente nell’Europa di oggi e in un futuro comune.
Potrei raccontarvi di molti luoghi in Italia dove ho potuto partecipare a fruttuosi scambi accademici con colleghi italiani, ma anche di altre nazioni. Dopo tutto, la Storia romana non è proprietà di una sola nazione, ma fa parte della storia di molte nazioni che un tempo erano unite nell’Imperium Romanum. Per questo è tanto naturale quanto necessario che la mia materia, la Storia antica, includa nella scienza comune tutto ciò che viene trovato in nuove fonti sul territorio di altri Stati del Mediterraneo e dei Paesi vicini, siano essi i papiri provenienti dall’Egitto o dal Vicino Oriente, siano esse scoperte archeologiche, ad esempio in Britannia o nell’odierna Turchia. E questo vale anche per le fonti epigrafiche in tutte le lingue che si parlavano nell’Imperium Romanum. [[Ho avuto la fortuna di partecipare in vario modo all’elaborazione di nuovi reperti e di acquisire così nuove conoscenze che hanno avuto particolare rilevanza anche per la storia romana d’Italia.]] Uno di questi nuovi ritrovamenti fu una decisione del Senato romano, che concluse un processo altamente politico nel novembre del 20 d.C., il cosiddetto senatus consultum de Cn. Pisone patre. Al centro di questo processo c’era la famiglia imperiale: l’imperatore Tiberio, sua madre Livia, ma soprattutto il figlio adottivo di Tiberio, Germanico, che era morto inaspettatamente in Siria nell’ottobre del 19 d.C. A Roma si vociferava che fosse stato avvelenato dall’allora governatore di Siria, Calpurnio Pisone, più o meno su ordine di Tiberio e Livia. Fu proprio per distogliere i sospetti da loro che Pisone fu infine processato davanti al Senato. Avendo capito, dopo due giorni di processo in Senato, che non poteva aspettarsi un verdetto equo, si uccise prima della fine del processo. Tutto questo è riportato con dovizia di particolari da Tacito, il grande storico romano. Fino all’inizio degli anni ’90, sapevamo dell’intera vicenda solo grazie a lui e al biografo imperiale Svetonio. Ma poi sono state ritrovate due tavolette di bronzo nel sud della Spagna, sulle quali è stato rinvenuto il testo completo del già citato senatus consultum de Cn. Pisone patre; questa iscrizione latina ci ha conservato il resoconto ufficiale del processo e la sentenza finale; comprende quasi 15.000 caratteri, come di solito si calcola per i testi nella nostra epoca moderna. Insieme a due colleghi spagnoli, ho potuto pubblicare questo straordinario documento. È stato subito presentato anche in Italia, una volta a Cassino in occasione di un incontro di studio sulla commemorazione di Germanico, ma soprattutto nell’isola di Capri. Qui, il mio caro collega Elio Lo Cascio della Sapienza di Roma organizzò un incontro di studio sulla vetta dell’isola, nella villa Iovis. Per l’imperatore Tiberio, questo era il rifugio dalle dinamiche della vita della capitale con i suoi gruppi ostili fra di loro; la villa era il luogo da dove osservare la vita politica e sociale di Roma da lontano. Un gruppo internazionale di ricercatori poté discutere in quella sede il testo ancora inedito e dare così un contributo significativo alla sua pubblicazione finale. Infine, nella villa Iovis è stato riproposto il processo contro Calpurnio Pisone, nel quale potei rivestire il ruolo di pubblico ministero; Elio Palombi, professore ordinario di Procedura Penale presso l’Università Federico II di Napoli era il difensore di Tiberio. Roberto D’Ajello, che era Avvocato Generale presso il Tribunale di Napoli, ha svolto il ruolo di giudice nel “Processo”. Il tutto fu anche pubblicato dall’Azienda autonoma di Soggiorno e Turismo di Capri e quindi reso disponibile al grande pubblico non specialistico. La pubblicazione dei discorsi del processo e della sentenza costituì un elemento al di fuori dalla torre d’avorio accademica.
Vorrei parlare del mio primo articolo scientifico, pubblicato nel 1969. Si trattava di alcuni documenti epigrafici fino ad allora sconosciuti provenienti dall’Italia, da Urbisaglia, l’antica Urbs Salvia. Il testo, inciso su almeno tre grandi tavole di pietra, racconta della costruzione di un anfiteatro in questa città. Il nome del costruttore è L. Flavio Silva Nonio Basso. Forse qualcuno di voi ha visto il film del 1981 che racconta la conquista della fortezza erodiana di Masada in Israele. Peter O’Toole interpretava questo Flavio Silva, originario di Urbisaglia e che, come governatore della provincia di Giudea, pose fine alla guerra contro Roma che durava dal 66. La guerra non è stata dimenticata a Urbisaglia; persino un parcheggio della città è intitolato a Masada, in memoria di Flavio Silva, figlio della città, che portò un tocco di storia mondiale nella sua città natale nelle Marche conquistando la fortezza sul Mar Morto.
Da quando ho pubblicato le iscrizioni di Flavio Silva, ho lavorato costantemente su argomenti relativi alla storia romano-ebraica. Da 25 anni lavoro con altri colleghi, tra cui alcuni israeliani, a una raccolta completa di tutte le iscrizioni rinvenute in Israele risalenti al periodo compreso tra Alessandro Magno e la conquista del Paese dagli arabi musulmani, cioè per un periodo di circa 1000 anni. Le iscrizioni incluse non sono scritte solo in latino e in greco, ma in tutte le lingue parlate all’epoca, tra cui l’aramaico, l’ebraico, il nabateo, il siriaco e, nella tarda antichità, l’armeno e il georgiano. Questo corpus sarà presto completato e comprenderà circa 10.000 testi, che saranno quindi facilmente accessibili a molti altri e utilizzati per una varietà di studi.
L’ho sperimentato io stesso negli ultimi due anni, quando il mio caro collega Arnaldo Marcone, professore all’Università Roma Tre, ha organizzato due seminari con i suoi studenti e colleghi di altre università su temi che riguardavano le relazioni romano-ebraiche e mi ha invitato a partecipare; pur non potendo venire di persona a Roma, sono intervenuto online, come altri. Un seminario si è concentrato sul problema, molto discusso, se si possa parlare di una “Giudefobia” che abbia determinato il rapporto tra gli Ebrei e Roma; il secondo si è occupato di un libro significativo dello storico israeliano Doron Mendels, intitolato The Rise and Fall of Jewish Nationalism. I testi di entrambi i seminari saranno presto disponibili in forma di libro. Entrambi dimostrano che i problemi di coesistenza in epoca romana e oggi sono molto simili.
Non voglio certo annoiarvi con ulteriori esempi del mio lavoro scientifico e la collaborazione con molti studiosi in Italia. Tuttavia, volevo citare un aspetto che forse illustra in modo particolare questa collaborazione. Il nostro Istituto di Studi Classici di Colonia pubblica la Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik (la Rivista di Papirologia ed Epigrafia). Solo dal 2019 sono stati pubblicati più di 110 articoli di studiosi italiani su questa rivista, della cui redazione sono responsabile. Sono letti in oltre 90 paesi in cui esiste un abbonamento alla rivista. Il principio della rivista è quello di pubblicare articoli in italiano, francese, inglese, spagnolo e tedesco, perché solo così è possibile preservare le sfumature, le peculiarità specifiche della lingua di un autore. Lo studio dell’antichità è internazionale, ma anche multilingue, un vantaggio per i nostri tempi in rapida evoluzione.
La prima visita a Pisa, dove oggi sono onorato da voi, avvenne 30 anni fa, nel 1989, quando vi si tenne il congresso della Fédération internationale des associations d’études classiques. Non dimenticherò mai l’ospitalità con cui i partecipanti furono accolti in città. L’ospitalità che ho sperimentato qui oggi mi colpisce ancora di più.
Alla fine, non mi resta che ringraziarvi per avermi assegnato il Premio internazionale Galileo Galilei. Il premio è per me un grande onore, che non potrò mai apprezzare abbastanza. Dal momento che me ne avete ritenuto meritevole, lo accetto con gratitudine. Lo scienziato che dà nome al premio ha aperto la conoscenza verso nuovi mondi. Non è molto probabile che uno studioso di discipline classiche riesca a farlo. Ma può aiutare le persone in Italia e in Germania a conoscersi meglio, nel mio caso attraverso la conoscenza approfondita della Storia romana, che è una parte essenziale della storia europea.