Il Premio Galilei è internazionalmente conosciuto come una delle manifestazioni culturali più importanti d’Europa e si fonda solo su adesioni volontarie, specialmente, ma non esclusivamente, dei Rotary Club e dei Rotariani
Nel 1962, da un’idea di Tristano Bolelli, nasceva in Versilia il Premio Internazionale Galileo Galilei dei Rotary Club Italiani che si chiamò per i primi anni, fino al 1968, Premio Forte dei Marmi.
Il Premio è un riconoscimento per grandi studiosi stranieri che, ad altissimo livello, hanno onorato l’Italia con opere fondamentali, che hanno dedicato la loro esistenza alla civiltà italiana e che hanno assunto l’Italia quasi come una seconda patria.
Il Premio si assegna ogni anno senza bandire concorsi; lo studioso non italiano, che si sia particolarmente distinto in una delle discipline riguardanti la cultura italiana previste dallo statuto, è scelto da una qualificatissima giuria, formata da insigni studiosi italiani, nominati dal Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Pisa. Della Commissione fanno parte altresì il Presidente della Fondazione e il Segretario del Premio. La Commissione propone il conferimento del Premio al Consiglio Direttivo che lo assegna.
Queste caratteristiche danno originalità al Premio, che si pone fra le maggiori manifestazioni culturali oggi esistenti ed è in grado di radunare a Pisa rotariani da varie parti d’Italia.
Vale la pena di ricordare che il Premio fa, per la diffusione degli studi italiani all’estero, molto di più di quanto non si possa supporre; ogni vincitore è infatti sempre un insigne italianista che con la sua opera, attraverso una vita di studi e l’attività dei suoi studenti, irradia ed arricchisce un patrimonio inestimabile di conoscenze e di scienza.
Grazie al Premio Galilei, è stato osservato, il Rotary è – e diventa – sempre più un serbatoio di cultura in un momento in cui molti aspetti della vita contemporanea sembrano imbarbarirsi e i valori più alti della vita sociale sembrano travolti da aspetti effimeri quando non addirittura perversi.
Breve storia del Premio
[da Il Premio Galilei dei Rotary italiani ieri ed oggi, Tristano Bolelli luglio 1992]
Che io parli di un premio potrà meravigliare chi sa che non sono favorevole ai premi letterari e che tale atteggiamento non si attenua neppure al pensiero, spesso ottimisticamente espresso, che tali premi favoriscano la lettura.
Ma il premio di cui mi propongo di parlare non ha nulla a che vedere con nessuno dei premi e premietti letterari che fioriscono ogni anno e che nascondono spesso interessi di casta e la monotonia di “io do una cosa a te e tu dai una cosa a me“. Tanto è vero che scrittori come Morselli, Tomasi di Lampedusa e Satta hanno dovuto aspettare la morte per vedersi ricordare al pubblico dall’illuminatissima critica letteraria.
Del resto, neppure il Premio Nobel per la letteratura è esente da sospetti, non foss’altro politici. Nessuno degli interessati lo dice apertamente, nella speranza di riceverlo un giorno.
Roberto Ridolfi raccontò, con quel suo stile pulitissimo, di quel romanziere che, sollecitato a ricevere un premio da un milione di lire “nominali”, finì col farsi estorcere dal segretario del Premio un milione di lire reali: ed immaginò che la celebre Accademia dei Sillografidecidesse di formulare un bando in cui erano fissate patria, età, attività ed ogni altra caratteristica atta a far riconoscere il vincitore in anticipo.
Fra le condizioni vi era quella di non aver mai vinto alcun altro premio letterario e vincitore risultò, ovviamente, quello designato fin da principio, il solo che presentasse tutte le condizioni richieste. Ma la sorpresa fu che egli era anche l’unico fra cinquanta milioni di italiani a non aver mai vinto un premio letterario.
Ridolfi, dopo così fine ironia, ci cascò anche lui, vincendo nello stesso anno addirittura due premi letterari. Bisogna, però, dire che lui, almeno, sapeva scrivere ed era un grande storico.
Il Premio Galilei non è un Premio Letterario, bensì scientifico, e sia pure nel campo delle scienze umane. Prende il nome da Galileo e ricorda che il grande scienziato fu anche uno straordinario scrittore, figlio di un musico, musico egli stesso e critico letterario, estimatore di Lodovico Ariosto.
Il Premio Galilei dal 1962 al 1967 non si chiamava in questo modo. Aveva un nome, per così dire, balneare. Nacque con la stessa serietà di propositi che lo ha sempre caratterizzato e si chiamava col nome di una famosa località tirrenica, ma dovette emigrare. La storia di questa emigrazione è esemplare.
Nacque perché mi fu chiesto insistentemente dal Sindaco e dal Presidente dell’Ente del Turismo di immaginare di organizzare sul piano scientifico un premio che si differenziasse dai tanti premi letterari che infestavano e infestano la Penisola. Mi venne così in mente di proporre una formula molto semplice ma alla quale nessuno aveva mai pensato: premiare quei grandi studiosi stranieri che, ad altissimo livello, hanno onorato l’Italia con opere fondamentali, costruendo, per il nostro Paese, monumenti più duraturi del bronzo, come diceva, ma al singolare, perché parlava dell’opera sua, Orazio.
Fu, naturalmente, subito implicata l’Università di Pisa per la necessaria garanzia culturale. L’idea piacque moltissimo ed ebbe un gran successo, se si giudica dalle amplissime corrispondenze pubblicate dai giornali e dall’eco della radio e della televisione. Ma quelli che avrebbero dovuto assicurare la continuità del Premio (a parte la tenace difesa che ne fece il Rotary locale) incominciarono a litigare in uno dei luoghi che sembrano più adatti ai litigi, e cioè il Consiglio comunale. Non era certo la spesa ad atterrire, anche se allora si dava come premio una statuetta di Emilio Greco che pesava un chilo e mezzo d’oro. E’ che nei consigli comunali che si rispettino bisogna litigare anche su cose che ali litigio si prestano pochissimo.
Accaddero cose buffe. Il Rettore dell’Università di Pisa ed io, dopo aver ottenuto un appuntamento, non trovammo il sindaco e furono sguinzagliati i vigili urbani in motocicletta a cercarlo. Dopo un paio d’ore lo trovarono.
Fu poi la volta di un invito al Sindaco perché si recasse in Rettorato ed allora il Rettore – persona molto energica – si fece, come è naturale, sentire.
Una volta, essendo stato premiato quel grande musicologo che era Knud Jeppesen, lo scopritore delle messe mantovane di Palestrina, era stato previsto un concerto di musica classica.
Ebbene, alle ore 16 (il concerto era previsto per le 17) non si sapeva ancora dove si dovesse svolgere il concerto e il pianoforte sostava sulla strada come se fosse un camion, lungo la passeggiata a mare. Mancava il leggio e si dovette correre a prenderlo in casa di una signora che in un palazzo vicino stava suonando.
Finalmente fu stabilito di andare in un night. Ora, nulla è più triste di un night di giorno: pare una cappella mortuaria e solo le splendide voci di due cantanti venute da Roma fecero dimenticare in che locale si fosse, spalancandoci le porte del Paradiso. Furono cantate musiche di Monteverdi ed una signora milanese, capitata là dentro per caso, alla fine disse: “Mica male quel Monteverdi lì; perché non hanno fatto venire anche lui?”
Ho dimenticato di dire che il proprietario di un famoso locale a cui, in mancanza di meglio, era stata chiesta ospitalità per il concerto, aveva equivocato sullo stesso nome di Monteverdi. Duro d’orecchi o forse per dirla in latino, per vinum et vinolentiam, aveva capito, invece di Monteverdi, fiamme verdi e cioè gli alpini. Una volta chiarito l’equivoco, disse che le fiamme verdi e i loro cori andavano bene, Monteverdi non sapeva neppure chi fosse. E negò il locale.
C’era anche, certamente, chi voleva che il Premio non continuasse, forse pensando al merito che poteva venire ad un avversario politico. La commedia degli equivoci cessò e fu deciso, in seguito alla cattiva volontà delle autorità comunali, di portare il Premio a Pisa e di chiamarlo Premio Internazionale Galileo Galilei dei Rotary italiani. Di lì ad un anno, un nuovo sindaco (la carica di primo cittadino è, di solito, un’istituzione labile) venne a casa mia con tre componenti della giunta a scongiurarmi di riportare il Premio nella cittadina d’origine. E’ chiaro che non fu possibile aderire alla richiesta per non ripristinare quel clima di instabilità che già avevamo sperimentato.
Tristano Bolelli
Bolognese di nascita, Tristano Bolelli, amava definirsi pisano d’adozione. Con Pisa, dove ha svolto praticamente tutta la sua carriera di professore, ha sempre avuto un rapporto d’amore che egli ha più volte esternato in numerosi suoi scritti: un amore che lo autorizzava anche, quando gli pareva che ne fosse il caso, a dare delle sonore tirate d’orecchi sia ai pisani sia a chi li amministrava, senza reticenze e con la sincerità e l’onestà che lo contraddistinguevano.
Oltre che a Pisa, dove ebbe come maestro Clemente Merlo, Tristano Bolelli ha compiuto i suoi studi a Heidelberg e a Parigi, dove fu allievo di Emile Benveniste e Joseph Vendryes. Insegnò Glottologia all’Università di Roma (1942) e poi nella nostra Università dove fu direttore dell’Istituto di Glottologia dal 1948 fino a quando, nel 1983, questo confluì nel Dipartimento di Linguistica, che alla sua morte fu a lui intitolato in segno di riconoscenza per quanto l’illustre maestro ha fatto per la cultura e il progresso degli studi. Nella nostra università Bolelli insegnò per molti anni anche Sanscrito e Storia della lingua italiana; si occupò, oltre che di Glottologia, di filologia classica e moderna, di filologia celtica, di Storia comparata delle lingue classiche, e di Storia della linguistica. Al termine della sua attività accademica la Facoltà di Lettere e Filosofia chiese e ottenne per lui dal Presidente della Repubblica la nomina a professore emerito.
Negli anni che vanno dal 1950 al 1958 era stato Vicedirettore della Scuola Normale Superiore di Pisa e, per venti anni, direttore della rivista della scuola, gli Annali. La rivista a cui soprattutto è legato il suo nome è L’Italia dialettale (la più autorevole nel campo della dialettologia italiana, fondata da Clemente Merlo). A questa affiancò successivamente gli Studi e saggi linguistici dove hanno pubblicato e pubblicano tuttora i suoi numerosi scolari che, laureatisi con lui, occupano oggi cattedre universitarie di prima fascia.
Numerose sono le cariche e le onorificenze che il mondo accademico e della cultura in genere hanno voluto conferire a Tristano Bolelli: fu Medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte; fu insignito dell’Ordine del Cherubino; ebbe la Medaglia del Presidente della Repubblica nell’ambito del Premio Pisa e il Campano d’oro; fu nominato Cittadino onorario di Viareggio per benemerenze culturali; fu Socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, Membro dell’Institut de France, socio onorario della Società Italiana di Indologia, consigliere centrale della Dante Alighieri. Infine, nel 1998, divenne Accademico di Francia, privilegio che spetta a pochissimi studiosi e a quasi nessuno straniero. Della sua lunga carriera di studioso sono frutto oltre duecento pubblicazioni scientifiche nel campo della linguistica indoeuropea, romanza e generale, fra le quali si annoverano molti lavori riguardanti la dialettologia italiana e le minoranze linguistiche in Italia.
Ma non fu solo uomo di estrema e raffinata cultura; egli era anche scrittore amabilissimo: oltre ai gustosi libri di divulgazione di argomento linguistico, restano infatti indimenticabili le brillanti e frizzanti strenne che ogni anno a Natale inviava agli amici, poi raccolte nel volume Ahi Pisa, vituperio delle menti Scritti augurali del Fondatore del Premio Galilei (Pisa, ETS, 2008).
Nel Rotary ha rivestito le più alte cariche: oltre che presidente del Club di Pisa nel 1956-57 e nel 1957-58, fu governatore negli anni 1960-61 e 1961-62, Board Director nel 1965-66 e Vicepresidente Internazionale nel 1966-67.
Ma ciò per cui Tristano Bolelli -siamo sicuri- vuole essere ricordato e a cui il suo nome sarà perennemente legato è il “Premio Internazionale Galileo Galilei”. Questo Premio nacque per sua iniziativa nel 1962 in Versilia, sotto gli auspici dell’Università di Pisa, e qui fu poi trasferito nel 1968. Da allora è stato sempre più potenziato ed è divenuto famoso in Italia e all’estero. Nel 1982 fu riconosciuto come Fondazione (Gazzetta Ufficiale del 14 maggio 1982) e gode dell’alto patronato del Presidente della Repubblica.
Il Premio si articola in due sezioni, una umanistica e una scientifica: il premio umanistico vuol essere un riconoscimento per quei grandi studiosi stranieri che, ad altissimo livello, hanno onorato l’Italia con opere fondamentali, dedicando la loro esistenza alla civiltà italiana e assumendo l’Italia quasi come loro seconda patria; il premio scientifico è invece rivolto a scienziati italiani che si siano distinti a livello internazionale. I Premi si assegnano ogni anno senza bandire concorsi; lo studioso non italiano specialista di una delle discipline riguardanti la cultura italiana previste dallo statuto è scelto da una qualificatissima giuria formata da insigni studiosi italiani; allo stesso modo, ma specularmene, lo scienziato italiano da premiare è scelto da una giuria di scienziati che però in questo caso sono stranieri; entrambe le giurie sono nominate dal Magnifico Rettore dell’Università di Pisa. Ogni disciplina nella quale si assegna il premio è presa in esame ogni dieci anni.
L’aggiunta nel 2006 del nuovo premio scientifico a quello umanistico ideato da Tristano Bolellli ha comportato una rivalorizzazione di tutta l’istituzione e ha fatto sì che il successo del primo si estendesse a tutte le branche della scienza, soprattutto, appunto quelle della natura, che nel XXI secolo hanno raggiunto ormai anche in Italia vette altissime. Quindi il Premio Galilei valorizza non solo la cultura italiana, ma anche la scienza degli italiani.
Ai vincitori delle due sezioni del Premio viene consegnata nell’Aula Magna dell’Università di Pisa una targa d’oro commemorativa dell’evento.
Questo Premio Bolelli lo ha ideato, creato, amato e fatto crescere con sacrificio e abnegazione come si farebbe con un figlio. Questo Premio egli ce lo ha lasciato come preziosissima eredità: un’eredità che dobbiamo accogliere per tenere in vita nel modo migliore possibile quello che lui, con una intuizione geniale, ha saputo creare.
Cominciò, così, un’età nuova. Si potrebbe scherzare dicendo che la nuova età era quella del bronzo, rispetto a quella dell’oro perché il bronzo costituiva la materia della nuova statuetta.
Ma le cose richiedono un supplemento di informazione. Non si era ancora nel 1973, anno in cui cominciava un periodo che vide il costo dell’oro salire a tal punto di non permettere di affrontare la spesa. Emilio Greco non era contento della statuetta d’oro che lo faceva sentire, come diceva, orafo e non scultore e si mostrò assolutamente contrario a continuare ad eseguire le repliche del suo lavoro. Volle fare una statuetta molto più grande e artisticamente molto più bella, di bronzo. Lì per lì rimasi interdetto pensando a come avrebbero potuto prendere l’innovazione i futuri vincitori che passavano da un’epoca ad un’altra; ma non fu così. Visto come sono andate le cose finanziarie di questo mondo, la ferma decisione di Greco fu un presentimento ed una fortuna. L’inflazione fece di lì a poco balzare l’oro a prezzi proibitivi e non sarebbe stato più possibile al Premio far fronte ad una spesa che sarebbe diventata intollerabile. Ancora una volta mi persuasi che gli artisti sono sempre di 50 anni avanti gli altri mortali. L’oro fu mantenuto da una targa che accompagnò la statuetta ed è ogni tanto offerta da un Socio, veramente benemerito, del Rotary di Pisa.
A proposito della statuetta d’oro c’è un piccolo fatto che merita di essere raccontato.
I primi vincitori americani, quando, al loro rientro in patria, arrivavano alla dogana, si trovavano di fronte ad agenti che, vista la statuetta, volevano imporre una tassa doganale. Ma, dopo una sia pur breve contemplazione, si vedevano presentata dal vincitore una dichiarazione in corretto inglese che avevo preparato in cui si diceva che si trattava di un premio internazionale assegnato per meriti di studio con tanto di nome del vincitore. Tutte le volte i doganieri, neri o bianchi che fossero, cambiato immediatamente atteggiamento, dopo un’ultima sbirciata alla statuetta, non solo lasciavano indenne il vincitore ma gli facevano, con largo e cordiale sorriso, le più vive congratulazioni.
Anche perché diamo un’opera d’arte di alto livello, il Premio Galilei si distingue da ogni altro premio e mi consta che altri hanno tentato, ma vanamente, di imitarne la formula.
Entrando nel meccanismo dell’istituzione, c’è una non trascurabile caratteristica. Le giurie cambiano ogni anno ed è necessario che sia così. Si susseguono dieci materie ed è chiaro che ognuna di esse ha i suoi specialisti. E proprio questi specialisti scelti fra i più illustri studiosi italiani delle singole materie, lavorano con tale impegno da non aver mai dato luogo ad alcuna, sia pur piccola, recriminazione.
Al Premio Galilei non si concorre, ma sono le giurie ad esprimere, con apposita relazione, i nomi dei vincitori.
Il Premio fa, per la diffusione degli studi italiani all’estero, molto di più di quanto non si possa supporre. Ogni vincitore è un insigne italianista e la sua opera, attraverso una vita di studi e l’attività dei suoi studenti, irradia ed arricchisce un patrimonio inestimabile di conoscenze e di scienza.
In un periodo di contestazione, un giovane giornalista mi chiese in tono quasi allarmato e certamente di disapprovazione, se il Premio era elitario. Mi affrettai a rassicurarlo che era molto elitario, visto che la parola elitarissimo non pare usabile in italiano. Aggiunsi anche: “Che cosa dobbiamo fare di queste élites? Forse sopprimerle?”
La risposta fu trovata certamente impertinente in un momento in cui tutti tendevano per paura a camuffarsi nella massa.
Ma è da dire qualcosa del nome di Galileo, che è stato assunto, dopo il nostro, da altri premi: uno di fisica, poi morto; uno destinato ad industriali a Roma (che cosa abbiano a che fare gli industriali con Galileo è alquanto misterioso, visto che Galileo i suoi affari proprio non sapeva farli), uno per studi di medicina. Io, nel mio studio, ho un fascicolo con l’indicazione: “Premi Galilei alieni” ed ogni anno faccio comparire un comunicato, in corrispondenza con la celebrazione di tali premi, per ricordare che essi sono stati preceduti dal nostro Premio Galilei.
Naturalmente non si può fare una causa, ma è da pensare soltanto al buon gusto di chi, privo di fantasia, usa un nome che è già stato assunto da un’altra iniziativa, divenuta Fondazione, riconosciuta da una legge dello Stato: ed è questo il solo intervento richiesto allo Stato dal Premio Galilei, ormai adottato dai Rotary italiani nelle persone dei loro governatori, a cui si è aggiunto l’aiuto diretto di molti, se non di tutti, i club e di molti rotariani e privati, ed ha ormai trentuno anni di vita.
La Fondazione, senza chiedere denaro agli enti pubblici (ed io ho la debolezza di dirlo ogni volta che è presente un ministro alle cerimonie di assegnazione del Premio) intende onorare l’Italia e, facendo breccia nelle ben munite cittadelle della più alta cultura nazionale ed internazionale, incoraggia la diffusione della cultura italiana in ogni parte del mondo. Tutti i vincitori, fra i quali si contano a tutt’oggi nove statunitensi, sei tedeschi, cinque britannici, tre francesi, un canadese, un australiano, un belga, un danese, uno iugoslavo, uno spagnolo, uno svedese, uno svizzero, hanno fatto scuola di civiltà italiana a migliaia di giovani in ogni parte del mondo ed hanno parlato con autorità agli specialisti. I membri italiani delle giurie, composte da eminenti studiosi, rotariani e non rotariani, lo hanno messo in rilievo di volta in volta nelle loro relazioni. Se qualche volta insigni personaggi hanno guardato al Rotary, sia pure ingiustificatamente, con qualche diffidenza, di fronte al Premio Galilei tutti sono concordi: è un’istituzione unica che onora non solo il Rotary ma l’intero Paese. Né hanno mancato di riconoscerlo alte personalità come i Presidenti della Repubblica Giovanni Leone, Sandro Pertini e Francesco Cossiga e il Presidente del Senato Giovanni Spadolini. Il Pontefice Giovanni Paolo II ha espresso vivo apprezzamento durante una visita privata dei promotori del Premio in Vaticano.